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Channel: Elisabetta ricami a mano
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Ricamare l'Umbria. In viaggio verso Valtopina - 1

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Morivo dalla voglia di andare a Valtopina per visitare la leggendaria Mostra del Ricamo e del tessuto, e il Museo. 
Ma le occasioni non si creano se non le forzi e settembre mi è sempre scivolato come un palloncino dalle mani di un bambino.
Di riflesso, dietro a gentilissimo invito, ho annuito con veemenza a quest'edizione, pensando che sarebbe stata una bella occasione per tutta la famiglia, che avrebbe scorrazzato con l'irruenza della tribù dei Galli per le terre umbre, mentre io, finalmente, riuscivo a coronare il sogno. 
Ora...
Ditemi voi: come mai potrei riuscire a far stare in un bagagliaio tre bambini, le loro valigie, le nostre, tutto l'occorrente per l'esposizione, pazienza e razionalità?
Valtopina o non Valtopina? 
Valtopina o non Valtopina?
Valtopina o non... 
Valtopina?!?!
Ho messo i bambini su e-bay e scovato un paio di inconsapevoli acquirenti. 
Mi sento vagamente in colpa (per gli acquirenti, s'intende), ma...
Ok per Valtopina! 


Il pacchetto espositori comprendeva l'invito a contribuire con un proprio lavoro al concorso Ricamare l'Umbria. Nonostante la proposta mi allettasse molto, le scadenze erano incompatibili con i miei tempi geologici e optai per l'invito collaterale ad esporre nella propria area qualcosa inerente al titolo del concorso.
Seduta sognante davanti ad un taccuino, con la penna in bocca, mi misi a pensare. 
Passai dall'idea di riprodurre un disegno di una ceramica acquistata a Gubbio, a quella di ricamare la parola Umbria con i fiori tipici della zona. 
Poi mi alzai e feci finta di fare qualche lavoro di casa, ben conscia ormai che le decisioni vanno prese a distanza di almeno tre giorni, perché le idee vanno lasciate incubare quiete in quella zona oscura del cervello che possiede capacità divinatorie.
In quei tre (quattro, dieci, ho perso il conto) giorni, alimentai l'incubazione con una serie di liste di cose e viaggi che mi portassero in Umbria. 
E, ad un certo punto, scoprii una cosa elettrizzante.
Mi stava sotto gli occhi. 
E' anche sotto i vostri.
Quando avviai, come conseguenza delle travolgenti esperienze di Toscolano, lo stuoia che in questi giorni vi sto fotografando, già sapevo, e ve lo avrei riferito, ma magari senza cognizione di causa, che lo avrei colorato con i colori dell'Assisi e vi avrei confessato che già ai tempi di Ravenna avevo in cantiere un disegno che cercava di riprodurre lo stile di Assisi, ma con il fondo a stuoia, anziché a croci.
Mi sono insomma resa conto, per questa e altre ragioni, che l'Umbria fa parte del mio vissuto e che, in particolar modo nella sfera del ricamo, ha guidato, spesso con prepotenza, le mie scelte di stile e di gusto. 
E, se non vi dispiace, vi porterei dunque, da Ravenna prima e dalla sponde del Garda poi, nelle selvatiche entroterra umbre e, più lontano nel tempo che nello spazio, nella memoria di viaggi vissuti, che hanno condizionato le mie scelte nel ricamo e, in definitiva, me stessa. 
Ho idee confuse e ricordi sfumati, che ancora non ho messo su schermo. 
Non so che cosa ne verrà fuori.

Stuoia ti odio. Eppur mi brilli...

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Post dedicato ai naviganti stufi di sentirmi blaterare come fossi in terapia. Cercherò oggi di essere un po' più pratica.

La filza è il punto più banale del mondo. 
Eseguirla regolare e provare soddisfazione mentre la si esegue è d'altronde cosa rara. La filza è stupida e noiosa. Non ci illude di avere mani sapienti. Ci mette in discussione. Ma ci tocca ricamarla per quella sua leggerezza simpatica.

Il punto stuoia mi fa lo stesso effetto della filza, eppure lo ritengo più degno di attenzione, non fosse altro perché ci permette di ricamare un pieno. 
E poi brilla... 
Oh! Se brilla!

La filza mi limito a guardarla da lontano sfocando lo sguardo, per accettarla... 
Proprio non mi va di perderci tempo. 
Lo stuoia uguale. 
Mentre lo lavoro c'è un che di sporco, sfibrato e irregolare che mi smuove istinti omicidi. 
Ci litigo. 
Quando torno però facciamo sempre pace, a meno che la lampada non rifletta nel modo sbagliato.
Le funeree linee nere che fanno sprofondare gli arabeschi nella stoffa, con l'avanzare dello sfondo blu salgono in superficie e prendono vita. Le porzioncine di stoffa racchiuse tra le linee, pur essendo fisicamente sottomesse, si proiettano con prepotenza verso l'alto, sfidando lo sfondo. 
Bellissimo.

Purtroppo per metà questo striscione è ricamato maluccio. 
Dovevo correre. 
Vi sembrerà forse grande, a causa degli inganni degli schermi, ma in larghezza il motivo principale misura 15 cm. Una piccolezza. 
Tanto per darvi un po' di numeri, ho fatto fuori 5 matassine di DMC 322 a due capi per lo sfondo e la bellezza di circa 25 ore per ricamare tutto lo stuoia (due moduli principali, più i sei rettangolini centrali). Purtroppo non avevo conteggiato l'erba.


La metà malvagia, più che dalla fretta è stata dominata dall'improvvisazione. Andavo un po' a naso e, nonostante il mio naso non sia certo trascurabile, l'insoddisfazione era palpabile. Nell'ira di quei giorni ho strillato ai bambini più che mai, con l'evidente vantaggio di ottenere le camere in ordine.
Non tutto il male viene per nuocere.
Più le ore passavano e più la fretta alterava la mia attenzione, più gli intervalli tra i lunghi fili tirati si facevano evidenti.
Riuscii a farmi sistemare anche il salotto ed aspirare il tappeto.
Infine mi obbligai a pensare con un bicchiere di acqua e ghiaccio tra le mani e forse forse una piccola regoletta mi è saltata fuori. Non sto a illustrarvela troppo perché va ancora raffinata, ma, in sostanza, sembrerebbe essere una buona idea allungare bene il punto di fermatura, portandolo alla misura dei piccoli intervalli che si ripeteranno lungo il filo, cosicché, al giro seguente, i punti si incastrino perfettamente negli spazi vuoti del precedente giro. 
Se non altro, avere una regola non fa perdere la mano al sopraggiungere della stanchezza e si ricama un po' più rilassati. 
Il problema è che adesso ho la casa che è un disastro.

Ricamare l'Umbria. In viaggio verso Valtopina - 2

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Passavamo le vacanze di Natale, Pasqua e parte di quelle estive a viaggiare tra una regione e l'altra per andare a trovare i nonni. 
Nonostante il viaggio in macchina fosse un po' noioso, ho ricordi molto divertenti: canzoni da gita, giochetti da auto, conta delle gallerie in un tratto particolarmente abbondante, sgomitate e pizzicotti tra noi quattro stipati sul sedile posteriore. 
Sapore di vacanza. 
Ogni viaggio una tappa diversa per visitare qualcosa di interessante, grandi feste con i cugini e lo spettacolo di tutto quel marasma di zii e cugini grandi che si accapigliavano in discussioni religiose e politiche. 
Tempi andati.
Più di rado andavamo dalla zia di Arezzo, di cui ho ricordi mitici. 
Abitava sopra alla stazione ferroviaria e che ad ogni treno la casa si scuotesse già era una gran cosa. Ma più di tutto c'era che la stanza in cui dormivamo noi dava su una terrazza e che dalla finestra... Si poteva saltare sulla terrazza. Cosa avremmo potuto desiderare di più?!
Eravamo spesso ad Arezzo in occasione del Saracino. Quattro erano le contrade, quattro noi. Ci eravamo scelti ciascuno una bandiera (io avevo quella di Porta S.Andrea, con croce bianca su sfondo verde) e facevamo gli sbandieratori nel cortile del palazzo della zia.
Se mi chiedeste quali sono le prime cose che mi vengono in mente alla parola Arezzo, vi direi la Chimera, il crocefisso del Cimabue e le salsicce. E la fontana di non ricordo quale piazza, che se tappi con le dita i buchi di qualche zampillo, gli altri schizzano più alti.
Andavo ancora alle Elementari quando, con tappa ad Arezzo, andammo a visitare Assisi.
Della città non ricordo molto. Ho delle immagini che la mente deve aver rielaborato e romanzato. E' tutta azzurra e impregnata di ricamo: i piccoli negozi sovraccarichi, le signore sui gradini a ricamare. Chissà! Magari ne ho viste solo un paio e poi la mente le ha collocate ovunque. Sta di fatto che la cosa deve avermi affascinato al punto da diventare manifesta. Mia mamma mi portò in una merceria e mi acquistò una striscia di lino Assisi, il libretto di Alida Becchetti e Silvana Toppetti, Punto Assisi, (Editrice Minerva) e una matassa di Ritorto Fiorentino. Non vedo l'ora di essere a Valtopina per chiedere alle esperte dell'Assisi per quale motivo mi fu venduto un blu scuro, anziché l'azzurro tipico. Non gliel'ho mai perdonata, a quella signora della merceria.
...E invece sì. Forse l'impulso all'indagine è arrivato proprio grazie ad un fondo di magazzino da svendere, oppure ad un colore della tradizione che però non mi andava, per lo scarso contrasto col nero.


Il disegno con le colombe, che la tradizione attribuisce alla coperta di Jacopa dei Sette Soli, è nel detto libretto e fu uno dei lavori più impegnativi a punto Assisi che feci... Certo niente in confronto a quello che rividi anni e anni dopo allo stand dell'Associazione Accademia del Punto Assisi, alla prima edizione della fiera Italia Invita a Parma.
Solo ora, che ho accostato il lavoro a stuoia alle colombe, mi accorgo di quanto siano simili in stile. Come si muovano con la stessa grazia quei riccioli.
Mai saprò se sono state le Colombe a offrirmi un modello di grazia, oppure se io scelsi le Colombe perché quello era il mio gusto. O ancora se ora ho scelto il soggetto dell'Edizione del Paganini perché, avendo sotto gli occhi tutti i giorni le Colombe, si sia fossilizzato in me lo stile.
Fatto sta che vedo questa continuità che, in un gioco di seduzioni reciproche, forse mi influenza quando, nel tentativo di imparare a scarabocchiare, traccio quei riccioli a filza e a palestrina di corredo alle rose.


Ricamare l'Umbria. In viaggio verso Valtopina - 3

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Tornammo ad Arezzo, dopo aver visitato Assisi, con un piccolo centrino quadrato da regalare alla zia. I miei svenivano all'idea che fossi io a scegliere i regali, perché la lungaggine della sottoscritta era proverbiale. Ma dovevo aver deciso che fosse compito mio. Lo ricordo bene e certo sfruttai l'occasione per immagazzinare la varietà degli ornamenti. Questo era il più tradizionale di tutti, con la classica paperella stilizzata, racchiusa nell'azzurro triangolo.
Non ho impressa la scena della consegna, ma quella immediatamente seguente, in cui lei mi consegnò due libretti, dopo averli estratti con lentezza da un'antica libreria protetta da pesanti vetri opachi lavorati a giglio fiorentino. 
Ricordo gli occhi commossi velati e perlati. 
Non so con esattezza perché. Allora non lo capii bene. 
Uno dei due era l'Album di Adele della Porta, (Punto d'Assisi: insegnamento pratico illustrato, Sonzogno). Tra le pagine, brandelli di carta gialla quadrettata, con greche per fili contati tracciati da una mano esperta, come fossero usciti dalla stampa. E sotto, la nota a mano tremula della zia, che indica l'autore dei disegni: suo nonno.
Ora, che ho vissuto più della metà della vita che allora aveva lei, mi sembra di capire un po' meglio. Ci vedo, in quel velo di lacrime, la consegna di un'eternità in eredità spirituale, che in parte sanciva anche una resa.
Non vana, spero.
Volgo continuamente lo sguardo al passato e agli antichi libretti di ricamo, per l'intramontabile armonia racchiusa in essi.
Se ne trovo, ai mercatini, lascio che mi seducano e corro sull'Antique pattern library nei momenti di depressione.
Non escludo che tanta parte della motivazione debba ricondurla a questa scena e alla mia incapacità di allora di afferrarne il senso.
E seguito a registrare su questa tela i ricordi.
Nei campi bianchi, racchiusi dalla cornice nera su sfondo azzurro, ho immaginato un inserto ad ago, come spesso ho ammirato in ricami umbri e toscani, anche se la tecnica che io ho usato riconduce più al reticello. Non me ne occupavo da tanto e la voglia di tornarci era forte.


Mi ha fatto piacere pensare che questo pezzo, che mi sono concessa come vacanza da un percorso auto impostomi faticoso ed alienante, serva anche a ripercorrere i miei esordi con il ricamo e  a tornare con la mente ai primi corsi di sfilature e reticello e a riappropriarmi di un amore disinteressato per il ricamo che questi ultimi faticosi mesi mi avevano guastato.
Scrollarmi di dosso, per una volta, quell'esigenza, interessante ma un po' superficiale, di produrre motivi rapidi e immediatamente scenografici, necessari ai tempi moderni. Tornare all'antico uso di curare ogni dettaglio e ogni spazio, per esigenze di stile e di economia di interminabili ore di lavoro.
E il tempo corre.
 Oh, se corre! Quasi tre ore e mezza per ogni quadrato.
Forse ricorderete un lavoro di anni fa, che raccontai in questo post...


Dallo stesso libretto ho tratto gli angoli per il lavoro in corso.
Quattro centimetri di buco che avrebbero potuto vanificare tutta l'opera di queste tre settimane...
Tremavo, ma ho tenuto saldi i nervi.
Gli esperti riconosceranno evidenti errori, ma insomma, non mi sento di lanciarlo tra le fiamme. L'inesperienza mi ha giocato un brutto tiro: per squadrare gli angoli ho tirato un filo lato per lato, calcolando i 4 cm. L'orlino a cordoncino, stringendo la stoffa, mi ha allargato il buco di almeno 5 mm. Di conseguenza ho dovuto aggiungere un altro giro interno per compensare l'eccessivo spazio e ricamare quel timone, che ben si adatta a manovrare tutto quel mare azzurro.
Eh, sì...
Ora mi aspettano le due sfilaturone centrali...
Ancora non so che pesci pigliare.

Ricamare l'Umbria - In viaggio verso Valtopina - 4

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Il lunedì e il mercoledì sono i sacri giorni della liberazione.
Quelli in cui i bambini vanno dai nonni e in cui assaporo le vibranti note del silenzio.
Era mercoledì.
Vi avevo appena mostrato l'avanzamento dei lavori, confessandovi di non sapere che pesci pigliare a proposito delle sfilature. Ma in realtà avevo già eseguito quattro giri di giliuccio, perché il punto quadro doveva starci.
Mancava dunque la corsia centrale: trovare qualcosa che si armonizzasse col giliuccio e con gli angoli simil-reticello.
L'imminente libertà, le luci del mattino dense di speranza e una leggera brezza che spezzava l'afa, avevano generato l'illusione che sarebbe stato facile e che entro sera avrei addirittura portato a compimento un'intera fila. Avrei lasciato riposare le dita di traverso sul divano, guardando l'interminale serie TV.
Ahimè!
Ad ogni fallimento le tenui luci del mattino si facevano più intense, la brezza si placava e l'afa avanzava. Annodavo fascetti e poi li guastavo. Li rammendavo e ancora disfacevo. I minuti scivolavano tra le dita e le mie speranze ammuffivano. Il caldo avanzava intollerabile e la furia del ventilatore scompigliava i fili.
I quattro giri di giliuccio avevano vanificato la possibilità di copiare, come estrema risorsa, la sfilaturona del libretto antico (mi avevano lasciato troppo poco spazio - come capii in una delle fallimentari prove). Le annodature a onde, che mi avrebbero concesso qui un simpatico richiamo ai pesci che non sapevo come pigliare, svuotavano il lavoro: gli angoli a reticello, tutti coperti di filo e festone, hanno un colore proprio, diverso dai fili di tela. Col senno di poi, i fascetti a X del giliuccio si sarebbero dovuti eseguire a cordoncino (ma avrei esaurito i miei giorni su di essi).
Avendo costruito la sfilatura con un'idea fallimentare, mi trovavo con un numero di fasci in multiplo di 4 e per gran parte della giornata questo rappresentò un condizionamento non indifferente.
Insomma... Conosco la base delle sfilature, ma non è il mio pane. E ho pagato le conseguenze della mia superficialità.
Come è ben noto, il numero di giorni di frustrazione è direttamente proporzionale al numero di ore perse del giorno di libertà.
L'illuminazione avvenne grazie ad una coincidenza numerologica, che mi concesse di tramutare il multiplo di 4 in multiplo di 3. La prova che feci (nonostante abbia dovuto comunque disfarla 5 volte), non mi procurava più nausea o rabbia feroce e giudicai incoraggiante il carattere leggero del mio disgusto.
Prevengo il vostro irrefrenabile desiderio di scrivere tra i commenti che, se avessi fatto un campione prima, non avrei faticato così tanto, confessandovi di aver, D'ACCORDO!, peccato di superficiale superbia. Credevo che sarei riuscita a trovare facilmente una soluzione, così come ora disegno in quattro e quattro otto una iniziale fiorita. Non ho calcolato che ho impiegato circa sei o sette anni per arrivare a quella destrezza, mentre è sei o sette anni che non ricamo sfilature.
L'esperienza fa la differenza.


Comunque sia, ricamare tutte quelle clessidre mi ha riportato con la mente alla casa della zia d'Arezzo. Sopra alla credenza stava una enorme clessidra con sabbia grigia. Una di quelle clessidre dei film d'avventura, con una cassa di sostegno in legno intarsiato, che generalmente minaccia gli ultimi istanti di vita dell'eroe e che, anche se tutti sappiamo che poi verrà salvato, ci fa lo stesso consumare le unghie dall'ansia... Ricamo davanti alla TV proprio per non rodermi le unghie. Ma quel mercoledì sera ricamai comunque davanti alla TV per recuperare un po' di tempo. Quando riposi il ricamo mi si era gonfiato il pollice e la cosa mi terrorizzò. Mai saprò se fu la giornata di sfilature o la vendetta dell'orchidea stecchita a causa mia (annegamento colposo), che aveva assoldato qualche insetto per pungermi mentre la schiacciavo nell'umido con la mano. Il mio proverbiale pollice tumefatto...
Per fortuna tornò snello in un paio di giorni. Sarebbe stato un disastro stare a  riposo.
12 minuti circa a clessidra. 66 clessidre. 792 minuti. 13 ore.
Nelle ore di silenzio di quel mercoledì ripensai ai viaggi in Umbria successivi alla prima visita ad Assisi e mi accorsi che i miei ricordi si sovrapponevano alle visite in Toscana, come se i confini fossero solo fittizi e la macchia degli etruschi si fondesse con la boscaglia medievale in un continuum, ma recintato, negli spazi limitati della mia infanzia. Vivide nella memoria le selvagge colline di mille colori, per noi esuberanti, avvezzi alla signorile sobrietà delle prealpi vista dal grigiore della pianura.  Vividi anche, tra le vie dei borghi surreali, i colori delle ceramiche in ogni dove, che ammiravo con particolare interesse, come, credo, tutte le ricamatrici.
Non ho mai riflettuto abbastanza sul forte legame tra ceramica e ricamo.
Ora però devo tornare nuovamente all'Assisi. C'è un orlo su cui convogliare i pensieri.

Ricamare l'Umbria - In viaggio verso Valtopina, 5

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Mi sono uscite delle onde del mare lungo tutto il profilo del bordo.
Ero partita con la volontà di ricreare uno di quei motivi ornamentali che decorano con leggiadra lussuria i pezzi a punto Assisi: ci doveva stare dell'azzurro da ricamarsi con un punto alternativo al croce e alcuni elementi in nero a punto erba, anziché scritto. Questo è un vecchio lavoro, che raccontai qualche estate fa qui.


Avevo il palestrina in testa e la costruzione del decoro doveva tenerne conto.
A far le cose fatte bene, si sarebbe dovuto progettare un ornamento minuto e ricco, senza troppo rilievo. Ma io qui avevo i minuti contati (si vabbè... 15 minuti a ricciolo, 40 riccioli, 600 minuti, 10 ore) e da sfogare diverse necessità, nonché caparbiamente registrare le associazioni mentali che mi portano con le fantasticherie in Umbria.


Il palestrina un po' ciccione mi serviva ad evocare i rilievi rustici dei ricami tradizionali, come il Punto Umbro o Sorbello. Scoprii la tecnica grazie allo stand di Giusy Federici a Parma, ammirai le foto dei lavori originali sul libro di Genevieve Porpora (Punto Umbro Black &White), corsi a vederli di persona a Perugia, alla Casa Museo Sorbello, piansi di commozione e invidia davanti alla postazione di ricamo della Marchesa Romeyene Ranieri di Sorbello, pianse Anita quando si sfracellò, piccoletta, sulla scala della piscina in un campeggio sul Trasimeno. L'infermiere di Castiglione del Lago, che le suturò la ferita, stava per diventare padre per la dodicesima volta. Io non c'ero perché avevo Alfredo neonato, ma mi raccontarono che se la risero parecchio, ipotizzando di cucire la ferita a punto Assisi. Mbè... Credo che Anita in realtà non ridesse. Se le dico Trasimeno fa Bleah! e si porta la mano al sopracciglio. 
Il palestrina non è un punto caratteristico del Punto Umbro, ma ne evoca i rilievi e mi piace tornare all'associazione punto stuoia-palestrina del ricamo prenestino. Ho ricamato le onde a tre fili di mulinè.
Azzurro mare, onde...
Non credo sia un caso.
L'infanzia spensierata delle vacanze (la mia) è mare. 
Con l'Isola d'Elba all'orizzonte e la sabbia nera dell'ematite di Populonia. Le tombe etrusche e le statuette di bronzo dell'Ombra della Sera, l'odore dei pini e dei pinoli. Le cicale.
In Umbria il mare non c'è, ma ricordo esattamente il giorno delle Elementari in cui lo dovevo imparare. Curioso cosa rimanga in mente. E chissà che tutto questo azzurro ad Assisi non servisse a portarlo proprio in piazza, il mare.
A ben guardare le onde sono solo i miei soliti riccioli, che si intersecano come le volute dell'arabesco su fondo stuoia.
Agli angoli, le lunette col punto ad ago simile al reticello. 


Erano nella stessa pagina degli angoli già ricamati al centro e morivo dalla voglia di provare una sagoma diversa dal quadrato.
Attorno, tutto un giro di punto quadro. Quello vero (solo perché fu il primo che imparai!), con tre diagonali a rovescio. 
In una delle occasioni ad Arezzo, andammo a trovare dei lontani parenti al di là della ferrovia. Una famiglia numerosa, con tanti figli dai nomi bizzarri. Io giocavo con la più piccola e con il suo cane. La casa della sua nonna era favolosa: ogni stanza aveva un nome legato ad un'epoca e ad una località. Non ricordo altro che il salottino francese settecentesco tutto d'oro. Ma non posso garantire che il ricordo sia autentico. Giallo oro era pure (e siccome ancora ce l'ho tra le reliquie d'epoca, questo al contrario è dimostrabile), un quadrotto di grosso lino a fili contati, con cui quella nonna non mia mi insegnò il punto quadro. Ricordo un mezzo viso, la mia compagna annoiata perché abituata a quell'attenzione e la mia bramosa invidia per quella consuetudine sua, in quella mia fuggevole occasione. A ben pensarci, quell'immagine mi ha sempre lasciato la frustrazione di non appartenere ad una terra di tradizioni e, nel tempo, il rammarico di non potermi vantare di una tradizione alle spalle. 
Anche se a tutt'oggi, per diverse ragioni, la considero tutto sommato una fortuna.

Io adesso però devo partire.
Sfreccerò oltre il luogo in cui ci vedremo a settembre, ma con me porterò questo sudario. Ero ottusamente convinta che lo avrei terminato prima di oggi e invece mi accompagnerà ovunque. Vorrei aggiungere un paio di cose ancora, una delle quali mi è stata vivamente sconsigliata da almeno tre persone. Ho solo oggi per decidere se dare priorità all'estetica o al senso del progetto..

Ricamare l'Umbria - In viaggio verso Valtopina 6

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Ho lasciato una me vestita di bianco sulla torre Sant'Emiliano che scruta il mare a pochi passi da Porto Badisco, in un luogo in cui i girasoli bruciati e mingherlini, tra i calcari aspri, girano il capo verso le onde in barba al sole. In un perfetto e struggente gioco di colori che accosta il giallo all'azzurro, come solo Madre Natura può permettersi. 
Sogno una tendina di candido bisso svolazzante per la mia me nella torre, ma... 
Questa è un'altra storia.

La striscia umbra ha riposato per un po' in valigia. 
Un bel giorno le onde hanno richiamato le onde e mi ci sono tuffata. Con meno danni da impatto di quelli del tuffo dallo scoglio di quasi tre metri da cui Anita mi ha gettato. 
Ovvio! Anche lei poi ha fatto la stessa fine.
Un giro a punto quadro piuttosto veloce e rilassante e tre piccoli forellini in ciascun angolo, progettati al preciso ed unico scopo di mettere in uso un piccolo attrezzo uscito dalla mia memoria grazie all'elaborazione di questo progetto umbro.


Avrò avuto pressappoco l'età di Anita. 
Ero in campeggio al mare e, nell'ora del silenzio (guai a violarla, pena la morte), ricamavo una striscia ad intaglio colorata. 
Con la ben nota silenziosa posa, richiamai l'attenzione di una elegante signora senese che, avvicinandosi per chiedere che cosa stessi ricamando, mi regalò una memorabile esperienza. 
Scoprii come il ricamo abbia il potere di attirare spiriti affini e come sia provvisto di un linguaggio proprio, che annulla le timidezze e le differenze d'età. 
La signora, a sua volta, stava ricamando un lenzuolo per la figlia appena sposata (e corse a prenderlo per farmelo vedere), con delle iniziali decalcate, fitte di tante roselline esplose, da ricamarsi a punto vapore... 
Ah! L'imprinting! E chi se lo ricordava?!
Mi insegnò alcune cose e ancora conservo piccoli campioni. 
Mi insegnò anche i buchetti a punto inglese, che realizzava con un punteruolo mai visto prima. 
Io ne avevo uno in plasticaccia rosa e quello mi fece venire l'acquolina in bocca, quando appresi che era un aculeo di istrice
Siccome era moglie di un cacciatore, ne aveva a bizzeffe e me lo regalò senza pensieri. 
Ora ne ho uno in argento tutto intagliato, acquistato in un mercatino dell'antiquariato, ma... 
Questo è IL punteruolo. 
Quando lo prendo mi si affaccia uno sguardo e un sorriso.

Evito di raccontarvi che cosa mi evoca l'orlo a rullino, o prilletta, che dir si voglia,  perché non è di poesia che parleremmo, ma di scurrili parolacce. 
Con il rischio di far venire i capelli dritti nel discutere le difficoltà dell'angolo. 
Confido in ottime maestre a Valtopina. Mi bacchetteranno, ma forse uscirò finalmente dal tunnel della parolaccia.
Posso però mettere una buona parola... 
Ci ho messo molto meno del previsto. Ero stranamente sveglia all'alba e, allo scoccare dell'ora della colazione, avevo già fatto tutto il giro.
Li avrei messi lo stesso perché tipici dell'Assisi, ma i tre nappini all'angolo, ne mascherano l'orrore. 
I punti vapore sull'orlo e di contorno al punto inglese mi sono venuti così
Mi sono fatta trasportare perché un po' di punto vapore, per ragioni sentimentali, dovevo pur mettercelo, visto che questo lavoro ripercorre la mia storia col ricamo e l'approdo col presente.


Nappe, cordoncini arrotolati, ornamenti a punto vapore, pippiolini... 
In questi ultimi anni ne ho messi parecchi. 
Ho sicuramente imparato ad amarli con i lavori di Assisi e perché sui mobili di famiglia sempre qualche nappa c'era. 
E a questo proposito ho un certo ricordo di infanzia, che lascio intatto in forma di immagine privata nella mia isola.

Vado verso la conclusione.
Tranquille! 
Devo ancora preparare tutto per l'esposizione! 
Siamo nella norma!
Devo anche finire l'ultimo dettaglio, quello che mi sconsigliavano, ma che ho avviato. 
Troppo difficile... Non verrà benissimo. 
Ma dovevo farlo. 
Scappo altrimenti non lo finisco!

Di come fu dunque l'Umbria ad aver ricamato me...

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Un po' di punto pieno dovevo per forza mettercelo.
Avevo immaginato tante cose. 
La più ornamentale, un decoro agli angoli invadente gli spazi liberi. Con magari delle piramidine a Punto Umbro sull'orlo.
Ma tutte le cose belle devono finire e in due giorni non sarebbe stato possibile.
Ho scelto di ricamare le mie iniziali, perché in fondo questo lavoro racconta la mia storia. 
Ho mescolato tecniche e dettagli, senza la pretesa che qualcuno segua il modello. Dal punto di vista stilistico probabilmente questi miscugli non hanno senso: lo hanno avuto per me, per riflettere ed evocare certe mie origini, ma agli altri questo racconto spero possa servire come spunto per lavori più snelli e pratici.



Mi sono complicata la vita e purtroppo ho commesso un po' di errori. Ma quell'intreccio che richiama le onde e l'arabesco... Come resistere?
Mi spiace non aver fotografato il ricamo prima del lavaggio (il sudario di quest'estate esigeva un bagnetto rilassante), perché sarebbe stato interessante far notare l'evoluzione degli errori, prima invisibili. In sostanza, ho fatto esattamente l'opposto di quello che raccomando sempre di non fare: ho caricato troppi punti in alcune intersezioni, con il risultato della distorsione di alcuni rami. Tanto per fare bella figura, potevo lavarlo prima e ricamarlo poi... Ma così è più istruttivo, giusto?!
Le intersezioni sono così tante che sconsiglio vivamente queste iniziali ai principianti. 
Però sono talmente belle che vi segnalo il libretto. Magari ricamandole a punto palestrina o con altro genere di ricamo vi venga in mente, i disegni potrebbero risultarvi utili.

Ho trovato questa splendida pubblicazione sull'Internet Archive



Come raramente accade, sono contemplati tutti gli intrecci e vi suggerisco di seguire l'ipnotico ordine sotto-sopra dei rami che si intersecano, nella loro commovente e mirabile perfetta eleganza.



Io ho scelto di evidenziare la S con il ricamo a tratti blu perché era una di quelle cose che prima o poi avrei voluto fare e che mi riporta alla S di Siena e ai marmi delle colonne e perché in fondo tutta questa mia storia nasce dalla famiglia e non da me. Dagli insegnamenti ricevuti e dall'essere stata trascinata contro la mia pigra volontà (come quella di tutti i bambini) in occasioni culturali che forse allora non capivo, ma che hanno lasciato un'impronta. E scrivo, per quel che vale, che bisogna resistere alla tentazione di pensare che i figli non siano interessati, resistere ai loro capricci e comunicare un interesse. Tutto torna nella vita, anche se prende forma propria e peculiare, diversa dall'intento originario.


Trovare il coraggio di postare il mio obbrobrio ad alta risoluzione è stata dura. 
Fate come me: guardatela sfocando un po' con gli occhi, così da non percepire le distorsioni.
Potrei vendervela dicendo che l'ho realizzata tutta distorta proprio per evocare quegli antichi lavori vissuti, che sono ceduti col passare dei secoli...
Vabbè.
Qui finisce quella parte della mia storia che ho ricordato accogliendo l'invito al tema Ricamare l'Umbria. Ringrazio le promotrici tutte, perché la riflessione, protrattasi per tutta l'estate, ha spalancato finestre di consapevolezza, generato idee e allontanato da alcuni meccanismi di mercato a cui inconsapevolmente ci facciamo (a volte doverosamente) prendere.
In ultima analisi, non fui io a Ricamare l'Umbria...
Fu l'Umbria, complice la sorella Toscana, con le sue selvagge ispirazioni e con l'offerta del suo mirabile patrimonio artistico e culturale, ad aver ornato la mia infanzia e, di conseguenza, ad aver guidato il mio cammino e influenzato tante mie scelte.


Arrivederci a Valtopina!


Mescolare colori, disegni e idee

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Quando Nicoletta mi contattò, per propormi di ospitare qualche mio lavoro su Giuliana Ricama per i mesi a venire, ero in spiaggia. 
Seguivo con la coda dell'occhio un uccello marino che spariva sott'acqua per ricomparire molti metri più avanti, o indietro o di lato. Mi urtava non riuscire ad indovinare mai la direzione e a capire cosa mai stesse cercando in quelle torbide onde. Farneticai al telefono qualche ideuzza e rimandai l'avvio del primo pezzo al termine del ricamo umbro. 
Del pescatore piumato persi la traccia.
Inutile raccontarvi di come l'Umbro si protrasse più del dovuto e di come le scadenze, l'avvio della scuola e delle attività dei bambini, l'avvio dei nuovi corsi e la necessità di riprendere il filo dei pensieri (o perlomeno di sgrovigliare nella scatola i fili), stiano lentamente, ma inesorabilmente, strisciando verso il cuore per stritolarlo in una morsa d'angoscia. 
Tendo al drammatico?
Con la scadenza dietro l'angolo e l'acqua alla gola, proprio come il mio placido amico marino, mi tuffai in una scatola di stoffe e non avreste mai indovinato con cosa sarei riemersa... E dove.
Cercavo una tiepida palette autunnale non troppo scontata e sfidai me stessa a spremere i colori da uno scampolo acquistato al Telaio Povolaro qualche mese prima. 
Questo il link al tessuto Lecien, con stampe di rose e isole damascate che si intrecciano e che brillano se rigiri il tessuto tra le mani. 
Una meraviglia.



Volevo, con il ricamo da offrire a Giuliana Ricama, proporre un nuovo disegno con i fiori del libro Un alfabeto a fiori, un po' per dargli l'ultima sferzata pubblicitaria, un po' per regalare a voi tutti, che avete accolto la mia pubblicazione con tanto entusiasmo, una nuova palette
E dedico questo post a mettere in pratica le combinazioni di colori, disegni e idee con cui ho progettato il libro.

Partiamo dal nuovo disegno, che troverete sul Giuliana Ricama n°24 (settembre-ottobre 2018).
I soliti cinque fiori corrono attorno ad un ovale che ricamai con un retino tirato. Se pensate che io abbia peccato di eccessiva buona volontà, scegliendo un retino a quattro fili in un bisso di lino, dimenticate che sfilature e retini non sono certo il mio punto di forza e che semplicemente devo o dovrete perdonarmi, perché non sapevo quello che stavo per fare. 
Potreste saggiamente optare per un bel 14 fili, oppure contare qualche filo in più.
Il cordone che serpeggia tra i mazzetti di fiori è un palestrina a tre fili e termina con un paio di riccioli all'esterno dell'ovale.
Ricamato con i colori indicati su Giuliana Ricama, diventerà per me una striscia per coprire l'usura di una consolle antica che ho in salotto. A chi, che a Valtopina mi indicava con sorriso beffardo l'orlo ancora solo imbastito, rispondo che mi servirà ancora qualche giorno e che No! Mi dispiace! Ma il mezzo giliuccio basta e avanza.
Ma se ricamassimo lo stesso disegno, con i colori della B di pagina 31 di Un alfabeto a fiori? Se trasformassimo l'idea originaria in un cuscinetto fedi, semplicemente cambiando i colori?
Mandatemi un foto! Vi prego!


E se, al contrario, decidessimo di usare la stessa palette che trovate su Giuliana Ricama, per ricamare il disegno del cuore di pag. 62 di Un alfabeto a fiori?
Ci ho provato. 
Volevo fare una scatola per le chiavi, da mettere su quella stessa consunta consolle...


Questo, di mescolare idee, disegni e colori, è un gioco divertente. E interessante osservare come muti d'aspetto uno stesso disegno e come i colori sappiano evocare atmosfere quasi parlando un linguaggio proprio, adattandosi, di volta in volta, ad occasioni diverse.



Sabato ero sulla stessa spiaggia e l'ho rivisto.
Che non si sappia dove e come si riemerge, è il divertimento più grande.




La sublime vendetta della cocciniglia Z

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I riccioli delle lettere disegnate e dipinte da Patrizia Silingardi sfidano la forza di gravità come i suoi capelli.
Irresistibili! Dovevo averne una!
Avrei dovuto domandarle la A di Anita, ma era più divertente sparare cavolate su wapp e mi sono dimenticata. Premetto che io ho un problema molto personale con i messaggi vocali e i video youtube. Patrizia mi manda i messaggi vocali, ma con lei è diverso... I suoi messaggi sono come la proiezione di un ologramma, con tanto di interferenza quando le scappa da ridere. Cioè... Come andare al cinema. 
Siccome me la spassavo mangiando popcorn, senza badare a quello che rispondevo, me la ritrovo poi a Valtopina con una E di EinsommasiamostufichericamileE. 
Scrivo questo post mentre ricamo un'altra E per la mia divisa di Abilmente, dunque smorzo sul nascere qualsivoglia vostra vana speranza.
Animata dal desiderio di fare bella figura con Patrizia e letteralmente annientata dalla meraviglia delle sete Ildico Dornbach, decisi che avrei combinato il matrimonio Ildico-Patrizia e bel bella avviai la lettera, con un filato tinto con la cocciniglia. 
Dedico il color cocciniglia a Graziella, che quando le parlai dello spavaldo proposito  di usare colori shocking da oggi in poi, mi stroncò dicendo che dovevo lasciare il Fuschia alle teenager
Graziella! Dimentichi che dopo i quaranta finalmente possiamo liberare l'esuberante ed eccentrica teenager che è in noi alle note di Mamma mia! e dunque era ora che io andassi di fucsia.
Ma la cocciniglia è un fucsia sobrio, che sotto i riflettori sembra quasi un rosso cupo. Progetto qualcosa di più eccitante con lo stuoia.


Sapevo che la cocciniglia aveva a che fare col parassitismo delle piante, ma sulle prime non mi sembrò rilevante.
Bisogna sapere che i filati che ho acquistato sono matasse di seta con una torsione evidente e brillante. Subito ad occhio avevo intuito che fosse simile a quella dei cordonetti, che da pochi anni ho appreso avere una torsione Z (opposta a quelli dei cotoni flosci e del mulinè, che è a S). Non vi sto a raccontare molto sulla torsione, perché non ne sono mai andata a fondo e tutto quello che so è un bagaglio di miti e leggende sull'uso direzionale del filo, supportato solo in parte da prove empiriche. Sta di fatto che, nella mia breve esperienza, ho appreso che, se ricamo una iniziale a punto pieno con il mulinè, oppure il cotone da ricamo n°25, i fili si adagiano sull'imbottitura creando una superficie uniforme, continua e soffusa, se ricamo con il cordonetto o il filo da cucire, vedrò ogni singolo passaggio di filo in superficie e il filo, più rigido, aderirà con meno arrendevolezza all'imbottitura, aggrovigliandosi spesso. 
Misteri del cosmo.
Ora... I filati di seta sono assai più morbidi e il problema aggrovigliamento e posa del tutto assenti. Però... Accipicchia! Stavo per disfare tutto.
Nei tratti lineari i fili si accostavano docili e, seppur evidenti, brillavano in modo curioso e le vibrazioni smorzate della cocciniglia assorbivano la luce dando profondità al colore. 


Nelle zone più spesse... Iniziarono a volare parolacce in coccinigliese. 
Dopo pochi cm di lavoro i fili tendevano ad aprirsi e a dare evidenti errori di tensione. Avendo usato lo stesso filato anche per l'imbottitura, credo che si siano sommati l'estrema morbidezza della seta, che costituiva un'imbottitura troppo lassa, e la faccenda della torsione, che irrigidiva, seppur impercettibilmente, il filato in superficie.
Cominciai a sospettare che la cocciniglia avesse deciso di vendicarsi e andai in rete per scoprire che faccia avesse.


Cioè, dai... Potremmo mai fidarci di uno così?!
Vive sui cactus (i fichi d'india! Quelli che se ti entra una spina poi come fai a toglierla), è un parassita, usa l'acido carmico (da cui si ricava il pigmento tintorio) per difendersi e, diciamocelo, è proprio bruttino. A parte per quest'ultima sua caratteristica, che me lo fa un po' intenerire, è evidente che i problemi degli spessori della mia iniziale siano nati a causa sua.
Ma per fortuna abbiamo i fiorellini per mascherare gli scempi.
Filato House of Embroidery 83 Aiuga.


E... Occhio! Il colorante E120 si sintetizza dalla cocciniglia...

Les broderie de Marie & Cie n°8

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E' sempre un grande piacere collaborare con Marie Suarez!
Per il numero autunnale della rivista ho provato a combinare i soliti punti base con un po' di punto pieno. Ho ricamato un funghetto, una zucca, una castagna e delle bacche di rosa, per un set da cucina: un paio di sacchettini e dei copri-barattoli. Mi sono letteralmente innamorata dell'effetto rilievo della zucca e del fungo.


Da un po' avevo voglia di iniziare a mescolare tecniche base con quelle un po' avanzate, perché mi sembra che si stia muovendo il coraggio di osare e di andare oltre, anche solo con piccoli motivi.


Abilmente è il mio 31 dicembre

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Quattro giorni da sola ad Abilmente mi sfibrano come una settimana di camminate in montagna. 
O almeno credo... 
Vado sempre in vacanza al mare.

Ho vegetato per una settimana, sguazzando come uno zombie nel disordine domestico e mentale, incapace di muovere un dito per riprendere la vita di sempre e di ricordare perché avessi scritto sull'agenda parole così difficili.
Eppure mi avete chiesto in tante un caffè e un tramezzino... Eh, eh! E chi l'avrebbe mai detto che qualcuno mi leggesse sul serio? 
Però adesso abbiate la clemenza di non commentare più sotto la vestibilità del grembiule della mia modella rispetto alla mia...
SI'! OK! VA BENE!
I lembi del grembiule su di lei quasi dietro si toccano, la cintura gira intorno alla vita e ne avanza un bel pezzo per un fiocco, i decori dipinti non si apprezzano in tutta la loro interezza...
Ma non l'ho uccisa solo per questo.



Dipinto, ovviamente, da Patrizia Silingardi
Ho fatto delle terribili battutacce sui suoi ciuffi, che sfidano la forza di gravità. 
Non invano.
Ad Abilmente è intervenuta una squadra dell'Università di fisica di Padova, in collaborazione con l'Istituto di Neurologia di Udine: pare che l'origine del fenomeno stia nella straordinaria ipereccitabilità del soggetto. Hanno dimostrato che ciuffi di pochi grammi, tagliati a distanza di ore, ancora sono in grado di accendere una lampadina. 
Ecco svelato come fu che il padiglione Ricamo Innovazione brillasse di più del Salone del Ricamo.
Insomma... Per non rimanere al buio, compratevi una Patrizia.
A dirla quasi seriamente, ce ne vorrebbe davvero una in ogni città.
Le sue foglie però sono cattive. Ma cattive come è cattiva una mamma, che lo fa per il tuo bene a farti un male cane.
Nel senso che ti impongono delle scelte. Non puoi usare quel colore lì che ti piace. 
No! Devi assecondarle. 
Ne devi trovare uno che ci stia in quel certo modo e che tu non avresti mai scelto. 
Ma poi scopri che non era male e ti chiedono perché stai sorridendo. 
La dittatura delle foglie.


L'iniziale è presa da uno dei manuali Shepard, ma purtroppo non c'è alfabeto completo!

Beh, ci siamo divertite in fiera.
Io, lei, la Gabriella dei Conti, la Laura della Cor:nice... Ci rimbalzavamo i visitatori l'una con l'altra e dai loro occhi ho capito che il divertimento era contagioso.
Grazie a tutte!
Anche alla mia vicina Giuliana Nucci delle nappe e non solo nappe. Anche con lei mi sono divertita un sacco. E le ho pure rubato un po' di nodi...



I miei nodi sfidano la forza di gravità come i ciuffi della Patrizia, ma non dovrebbero. E non accendono lampadine. Un giorno ce la farò, Giuliana!
Grazie anche alla mia autista-passeggera Emanuela. Ci siam fatte due risate. E dimenticato un sacco di cose in macchina. Le uniche espositrici che hanno rischiato di comprarsi il biglietto d'ingresso.

Il problema è che Abilmente è il mio 31 dicembre. 
Finisce tutto e ricomincia. 
Deve ricominciare. 
Ma non so bene come. 
Cioè forse lo so, ma imboccare una strada di incertezza fa sempre paura e fatica.
Ho lavorato al mio orticello di fiori per tanti anni. Non sapevo che avrebbe portato a questo. 
Intendo l'avvio di un lavoro quasi vero. 
Senz'altro vero dal punto di vista formale: con le spaventose scadenze di iva e parolacce simili impronunciabili, coniate da menti perverse e da una storia tutta italiana di frodi. 
Metterei l'obbligo di simulazione di una partita iva in tutti i licei. Bisogna che qualcuno, almeno una volta nella vita, ci presenti un conto.
Non ci ho dormito per mesi a sistemare gli aspetti fiscali del libro e quest'anno quasi non ho ricamato. Mi è scivolato l'anno tra le dita, mentre i progetti fallivano con una stanca scrollata di spalle. 
Mi gettai quest'estate sulla interminabile striscia umbra per ritrovare l'amore, un po' affievolito dai pensieri e da qualche violazione del mio orticello.
Ho sempre pensato che, nel momento in cui mi sarei attaccata con rancore a quel poco che avevo fatto, avrebbe voluto dire che in quel momento non avevo più risorse per il futuro. 
E' capitato. 
E' umano. 
Perché non avevo voglia di ricominciare tutto daccapo. 
Mi sembrava giusto poter girovagare per un po', spensierata, tra i fiori, senza pensiero alcuno. 
Non ci sono riuscita.
E forse è un bene. 
Sennò ci si adagia, ci si comincia a nutrire di nettare e di inebrianti profumi e a seguire i blandi ritmi della natura, facendo la fine della cicala.
Dunque lascio il mio orticello prosperare altrove. 
Salpo per altri lidi...
Cioè per i lidi veri e propri. Torno al mare. E ci starò per un po'. 
Me lo ha suggerito la Ricamatrice Ancestrale emersa dalle acque di Porto Badisco quest'estate, quando, sola, con le spalle ai girasoli e i piedi sugli aguzzi scogli calcarei a picco sul blu, ho gettato la mia malinconia tra le onde.
Credo che sappiate dove tenterò di andare a parare. 
Ma non è detto che ci riesca. 
Lo farò al mio solito modo spudorato, campion facendo e mostrando, senza segreti. Perché tanto non li so tenere.
Quel che sarà sarà.






Giuliana Ricama numero 25

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Un post dedicato alla Rivista e alla Redazione di Giuliana Ricama, che sta pubblicando alcuni miei lavori, e che, sopra ogni cosa, sta crescendo con l'idea che di valori si nutrono le belle cose e che il mondo del ricamo abbia bisogno di una scossa e di un luogo che favorisca la comunicazione. 
C'è aria frizzante tra le scuole e i gruppi di ricamo, e tra gli attori di questo movimento Giuliana Ricama gioca un ruolo di riferimento importante.

Tra le pagine del nuovo numero, la cui circolazione è appena appena partita, stanno due vasi di lavanda, ricamati sui nuovi asciugamani di Conti & Molinari, che hanno degli inserti quadrati in crespo di lino. L'idea era di proporre un po' di quel punto pieno che suscita tanto interesse, abbinato ai soliti rilassanti punti.
Questa la copertina del numero 25, di cui vi sto parlando...



La collaborazione era partita con il precedente numero, in cui avevo proposto una ghirlanda con i miei soliti fiori, in una palette autunnale.




Con i nuovi colori della ghirlanda avevo poi ricamato il cuore di Un Alfabeto a Fiori, ma vi rimando al relativo post: Mescolare colori, disegni, idee, per maggiori informazioni!



Un anno nella casa estrema

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Henry Beston si fece costruire una casa sulle dune di Cape Cod nel 1925.
La battezzò Fo'Castle (Castello di prua), per la vista che scorgeva dalle dieci finestre affacciate sul mare.
Era l'inizio dell'autunno e, nonostante avesse progettato di soggiornarvi per una quindicina di giorni, finì per decidere di passarci un anno intero.

Mi ci imbattei per sbaglio.
Il giorno dopo Abilmente, sfinita, ma colta da una febbrile necessità di trovare il modo di ricominciare, decisi (per caso o per un inconsapevole impulso covato da tempo) che avrei dedicato un anno alle conchiglie e al mare.
Mi immersi nella polvere della soffitta per recuperare un paio di collezioni di conchiglie, restaurai i miei campioni scollati e portai a termine un noiosissimo libro in corso, leggendo una riga sì e cinque no, per arrivare a fondo presto e scegliere qualche nuova e più appropriata lettura, che mi calasse nella giusta atmosfera.
Se vantassi una grande cultura letteraria, farei sfoggio di un consapevole programma ispiratore, ma i pochi titoli marinarecci che mi vengono in mente evocano buie e deprimenti memorie scolastiche e un ritrito scenario di pirati strafatti di rhum.
Per una rinascita mi serviva quello sfavillio della luce sulle onde che porta il vento della novità e dell'incontro fortuito.
Estrassi dalla rete La casa estrema.
Trovai seduttiva la coincidenza temporale del viaggio di isolamento nella casa estrema e le ragioni della fuga. In una casa ai confini del mondo e affacciata alla furia dell'Oceano, per cercare pace e adeguarsi al ritmo naturale del tempo, fatto di attesa, di limiti umani e del peregrinare del sole nel cielo, meraviglioso rituale. Rifugio dai ritmi accelerati della vita quotidiana e dal mondo malato e infiacchito. Per tornare a pensare e a mettere ordine ai pensieri.
In una solitudine estrema, ma rigenerante.



Varchiamo la soglia della casa estrema ad ogni nostro primo punto.
Non è l'onda del mare e risuonare nella nostra mente, ma una tempesta di pensieri che si rovescia fragorosa nel petto e, punto dopo punto, si placa. E quando l'oppressione viene meno, vediamo la marea lentamente ritirarsi, nel buio rischiarato dalla luna e dalle stelle.

Font Candire, DMC 3799, punto indietro spezzato, tessuto F.lli Graziano, lino 6262 Melange

E così è che inizio a cercare tra le dune le assi buone di antichi relitti per erigere la mia casa.
Ci si dovrà passare un anno e sarà bene che venga fuori abbastanza grande. Con dieci o più finestre. So che inizieremo ricamando conchiglie, ma poi sarà tutto da vedere: mi lascerò guidare dalle idee casualmente trascinate a riva dalle mareggiate.

Imperscrutabili vie...

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Giusto ieri raccontavo che avrei lasciato il mio orticello incustodito...
Eppure guardami oggi come ti lancio una nuova iniziale di fiori. 
Non prendetemi più sul serio.
E' colpa di mia mamma, che cuce scatole per colpa di Carla, che l'ha avviata all'arte in fiera per colpa infine mia che ce l'ho portata. 
Candidamente aveva esclamato alla platea che per il coperchio le avrei senz'altro dato uno dei miei ricametti.
Quando mi incastrano così, cerco di approfittare dell'occasione per spuntare la mia lista delle cose da fare prima o poi o probabilmente mai.
Alla voce Fregare l'idea alla Gisella sorrisi soddisfatta, onestamente rasserenata all'idea di fare una breve vacanza dalle conchiglie, che, come avremo modo di argomentare ben presto, si stanno rivelando complicate. Il metodo di studio che ho intrapreso, decisamente poco scientifico, ma estremamente divertente, è basato sul caso. Lascio ai sensi la selezione delle informazioni e quello che ne esce fuori è una forza creativa interessante che svia dal tema principale, ma produce idee.
Tornando al mio furto conclamato, la mitica Gisella G. aveva ricamato delle bellissime lettere, mescolando il punto pittura e i fiorellini e dal primo momento che le vidi la informai del losco proposito di imitarla. 
Sono partita da una L del capitolo delle L del Libro delle lettere di Liliana Babbi Cappelletti. 
Lo ho un po' snaturato e ho scelto i colori basandomi su un brandello della stoffa della scatola (già cucita e impaziente...).


Il giro stretto delle tre anse basse delle L si è rivelato un esercizio duro e utile per il pittura: una terribilmente affascinante sfida.

Visto che ci sono e che al libro mancava una palette su questi toni, aggiungo qui i colori. Sono un po' cupi, ma adattabili forse a casi simili a questo.

Holly hock/Rosa Marina DMC 223, 370, 3721
Daisy/Margherita DMC 950, 152, 830
Lavender/Lavanda DMC 3726, 370
Ciclamen/Ciclamino DMC 815, 869
Rose/Rosa DMC 223, 152, 838
Myosotis/Non ti scordar di me, DMC 815, 152
Gypsophila/Gipsofila, 830, ecru

Palette pittura: DMC 838, 869, 830, 370, 422

Tessuto Graziano 6262 color Panna.



Il blu quieto e profondo

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Non mi lasciano ricamare (quello che voglio).
Il freddo mi paralizza e la sequenza di compleanni, feste dei santi a sorpresa, sovrabbondanza natalizia, frenesie spenderecce tra luminarie e imprecazioni da parcheggio, mi inquietano. 
Non torno indietro a controllare, ma credo che ogni anno, pressappoco in questi giorni, devo aver riversato qui un po' del mio consueto astio natalizio. 
Gingle bells!
La carne è debole... 
Ricamo al suono della mia playlist di canzoncine in tema.

Io con le conchiglie ci sto perdendo la pazienza.
Cioè la sto fortificando.
Tempo fa avevo scoperto che qualcuno (Wallace, 1926) si era preso la briga di definire un modello del processo creativo. 
La versione semplificata della teoria (romanzata a mio uso e consumo) riassume il processo in quattro fasi:
- preparazione: raccolta di informazioni e materiali (entusiasmo alle stelle);
- incubazione: elaborazione mentale conscia ed inconscia delle informazioni e dei materiali (prove insoddisfacenti, errori che alimentano l'istinto omicida, necessità di dormirci su per dipanare il groviglio di frustrazione);
- illuminazione o insight: Eureka! (e magari stai lavando i piatti o aspettando il figlio di turno a karate, ma il lumicino della speranza si riaccende);
- verifica: prove, messe a punto e formalizzazione (non è proprio una porcheria dunque ok, basta, non ci penso più e me lo faccio andare bene così, post su blog e Fb).

E' vero.
E bisogna imparare a non arrabbiarsi troppo nella fase di incubazione: darsi del tempo per partorire l'idea giusta, che tanto se ci tieni a quell'idea, prima o poi una soluzione arriva.

L'importante è dare in pasto al nostro cervello, con un preavviso che, suppongo, dipenderà dalla velocità di elaborazione del proprio software, la domanda giusta... Quello stramaledetto quesito, espresso in forma chiara e semplice. 
Vi tornerà certo in mente la storiella di Alice... Esatto! 
Se non sai dove vuoi andare, non puoi chiedere indicazioni allo Stregatto!

Con le conchiglie il problema sta nel formulare la sequenza di domande giuste: il terreno è così inesplorato, che ad ogni passo sorgono nuovi quesiti. So dove voglio andare a parare alla fine del percorso (lo sapete anche voi, eh?!), ma purtroppo non è possibile partire dal fondo.

E ho sbagliato tutto l'approccio, presa dalla frenesia di partire e dall'impazienza di avere qualcosa di buono tra le mani.
Ho guastato la fase di preparazione lasciando che i quesiti fluissero casuali e affrontandoli con una certa superficialità. Mi sono messa subito a fare prove senza preparare bene un piano d'azione, ho campionato qualche conchiglietta e poi mi sono arenata sui ricci di mare. Volevo ricamarne la carcassa che si trova a volte a riva perché inizialmente avevo una certa idea e poi mi sono arrabbiata e ho cambiato stoffa e l'ho smontata dal telaio che avevo deciso di usare piena di buona volontà e lo sconforto mi ha fatto rovinare tutto e, e, e...



E vabbè. 
Non tutto il male viene per nuocere.

Dalle ceneri dell'insoddisfacente fase di incubazione è sorta un'idea. 
Non certo un'illuminazione, ma la traccia appena appena abbozzata di una strada perseguibile.

Dopo aver scosso il capo disgustata e sconsolata alla vista della mia prima piccola composizione di conchiglie (non ve la mostro perché mi vergogno), scoprii che, al di là della bruttezza compositiva, i colori originali delle conchiglie non mi comunicavano la quieta immensità del mare. 
Mancava il profondo blu.
E non volevo dipendere da una stoffa blu.

Arrivai alla conclusione che dovevo smetterla di pensarla noiosamente scientifica e che dovevo alterare di grosso il punto di vista, affidando alle conchiglie le vibranti note marine.
Mentre ragionavo su queste cose, ripensavo al mare e ai miei primi soggiorni marini e mi venne una gran voglia di usare certe foto subacquee che avevamo fatto con una macchinetta usa e getta io, mia sorella e i relativi morosi. Trovate con inaspettata facilità, decisi di usarle per la mia prima palette del mare. 
Le foto sono vecchie, i colori alterati e sbiaditi. 
Ma parto lo stesso con la Follonica 2001.

Anche perché ho scoperto che...
Nel mio libro, tra le varie palette, quella che mi è sempre piaciuta di più è la azzurra su fondo nocciola con cui ricamai la I.
Forse inconsapevolmente sono sempre andata in cerca del mare.







2019... Un anno da ricamare

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Lavoro in corso di pubblicazione su Giuliana Ricama n°26 (Genn/Fab 2019), la cui redazione saluto e ringrazio.

Grano e fiordalisi... 
Hanno gli stessi colori della sabbia e del mare.

Come ogni anno, non mi capacito che sia già il primo dell'anno.
Non ho il coraggio di fare il bilancio delle cose belle e brutte che mi sono capitate e che sono capitate agli altri attorno me.
Chissà poi se ne vale la pena.
Accenno qui soltanto ai due maggiori stravolgimenti del 2018, che inevitabilmente influenzeranno il mio 2019.
Ricorderò questi capitoli della mia vita a causa dei sentimenti piuttosto intensi che li hanno accompagnati: rabbia, fatica e frustrazione in un caso, divertimento, follia e brio nell'altro.
Cercherò di sintetizzare.

Capitolo 1
LE PERVERSIONI DEL FISCO

Il 2018 si era appena appena affacciato alla porta, sussurrandomi all'orecchio che avrei ricamato indisturbata e leggiadra nei mesi a venire.
L'onda libro aveva preso un carattere più umano e i riti scaramantici del primo giorno dell'anno non avevano lasciato presagire intoppi.
Come fu per Alice, che scivolò in quel buio anfratto, la terra comunque cedette all'improvviso sotto ai miei piedi e iniziai a sprofondare in quel tunnel oscuro e pesto, in cui sei costretto a procedere a tentoni. Nessun Paese delle Meraviglie ad aspettarmi, ma conti, fatture, regolamenti e leggi scritte con un linguaggio incomprensibile da una mente perversa, o strafatta. Nessun dramma all'orizzonte, ma la necessità di un inquadramento diverso e con maggior obblighi.
Io scandalosamente impreparata.
Vergognosamente ignara.
Pregna di una disarmante ingenuità.
Nessun Paese delle Meraviglie, ma...
Se voltavo lo sguardo di scatto, potevo scorgere lo stesso il ghigno soddisfatto dello Stregatto.
Quando capii che io dovevo colmare l'ignoranza (o chiudere la baracca), iniziai a riporre nella scatola i miei arnesi, accarezzandoli e scusandomi per la prolungata assenza. Assicurai loro che sarei tornata a ricamare, e magari anche a fare qualche foto e a scrivere. Ma che per il momento avrebbero dovuto portare un po' di pazienza e cavarsela da soli.
Ho imparato tante cose nel 2018.
Ho imparato a sfatare il mito dell'italiano brontolone. Ho imparato a portarmi una bottiglia di Pampero dal commercialista, per sdrammatizzare in compagnia. Ho imparato a sedermi prima di ascoltare i bilanci e ho imparato che l'incertezza dei medici è una scienza esatta, se paragonata alle incertezze dell'interpretazione delle legge.
Vi confesso che su certe questioni non ci dormivo la notte.
Col passare dei mesi qualche difficoltà diventò routine e, nonostante io debba ancora far uso del respiratore quando compilo una fattura, tornai a vivere con serenità la nuova avventura.
Forse dovremmo accogliere la disgraziata perversione del fisco come frutto della nostra tormentata storia e infine accettare lo sforzo in virtù della libertà di cui godiamo e di cui dobbiamo essere grati.

Potrebbe andare meglio, senz'altro.
Potrebbe andare peggio.

Ho avuto la libertà di usare i mezzi di comunicazione per uscire dall'anonimato e per entrare in contatto con tante appassionate. La libertà di esprimermi come meglio credevo. La libertà di organizzare eventi e pubblicare un piccolo libro. La libertà di trasformare un'attività come il ricamo in lavoro. La libertà, in sostanza, di mettermi alla prova.
Se guardi bene la cartina geografica e fai qualche conto, scopri che non sono molti i paesi in cui puoi farlo.

Fantasticavo esaltata sulla mia idilliaca gratitudine, quando ho appreso dell'introduzione della fattura elettronica: ma cosa diavolo si sono fumati stavolta?!

Capitolo 2
IL GRUPPO ANOMALO + 3, A COLAZIONE DA TIFFANY

Non ricordo il giorno esatto in cui è iniziato tutto. Forse pioveva e avevo la luna storta, oppure avevo indossato una maglietta rosa e mi prendevano in giro. Forse è iniziato tutto un po' quel giorno e un po' in quell'altro.
Relazioni umane disinteressate, simpatiche e oneste. Persone con cui entrare in sintonia, dare e ricevere coraggio, forza e motivazione. Con cui confrontarsi in assoluta libertà, certi di essere compresi e non giudicati. Con cui sgrovigliare i fili dell'insofferenza, senza doverli celare o indossare una maschera.
Il mio anno si è concluso nel migliore dei modi, con un pranzo improvvisato con alcune di esse.
Nel corso dell'anno abbiamo fantasticato e costruito visioni e sperimentato, ad Abilmente, il valore del reciproco supporto e il carattere contagioso dell'entusiasmo. 
Mi sono svegliata questa mattina con l'immagine di ciascuno di noi naufrago sulla propria isoletta, che galleggia senza meta in un mare di isole. Qualcuno ogni tanto lancia un ponte di corde e non ti senti più solo. Quest'anno  è successo tante volte, in un modo diverso dal solito, più intenso e franco. Probabilmente perché sono cambiata io. Oppure perché la mia isoletta è andata a cozzare contro quelle giuste.

Il capitolo 1 e il capitolo 2 influenzeranno il mio 2019 a causa dell'esigenza, da un lato, di produrre e dall'altro di provarci a dar vita a quelle visioni. 
Al di là delle mie questioni private, comunque, c'è un bel movimento nel mondo del ricamo.

Più volte, nel 2018, mi sono trovata a pensare che il segreto stia nel rimuovere le paure.

Cari auguri di buon anno a tutti!

Divagazioni d'estate

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Tanto ero immersa nelle faccende marine, da riuscire a percepire il sole della spiaggia e l'arsura dei campi selvatici sulla pelle, al suono lontano delle onde che esplodevano sulla scogliera. 
Il colore della sabbia e quello delle acque già mi avevano portato in un campo di grano e di fiordalisi nella notte di capodanno. 
Dunque, in quel primo martedì di gennaio, la mia mente inconscia aveva elaborato l'immagine di un papavero, eccitando la mia motivazione e producendo il germoglio di una decisione forte, impulsiva, determinata.
Fu così che misi nuovamente le conchiglie in pausa, giusto il tempo di produrre qualcosa che soddisfacesse quell'esigenza. 
Ma i papaveri tessono le loro trame. 
E sotto il loro influsso consolatorio, agendo attraverso l'oblio dei sensi, mi fecero accantonare le difficoltà del mare. 
Per giorni ricamai placida grano, papaveri, fiordalisi, campanule e margherite.
Tanto ero assuefatta, da non rendermi conto di una imperdonabile svista ecologica. 
Par raro, infatti, scovare campanule nei campi di grano. 
Puoi scorgere quel colore, ma devi ringraziare altre specie.
Eppure, quelle piccole manine a quattro dita mi intenerivano al punto di decidere di sorvolare. 
Ormai il danno era stato fatto. 
La colpa attribuibile definitivamente ai papaveri.



Non che i papaveri mi siano sgorgati lievi e senza affanni...
Lottai con mostruosi campioni per scovare il giusto colore, eccitante ma non troppo, con quella giusta quantità di vibrante sobria poesia. Lo pescai tra i nuovi colori DMC e adottai le due sfumature adiacenti 21 e 22, nonostante nella scatola apparissero tristi e senza personalità. 
Eppure dovremmo sapere che le apparenze ingannano.
Mi logorai in inutili testardi tentativi, prima di arrivare a capire che non occorreva cambiare sfumatura nei petali a rilievo, perché tanto la differente posa dei fili tra il fondo e quest'ultimi, produceva una riflessione della luce ingannevole, regalandomi un contrasto efficace e realistico, nonostante l'uso dello stesso colore.
C'è fermento intorno a questi ricami.
Ma per ora posso dirvi che vorrei portare un po' di quest'estate precoce a Fili Senza Tempo di Novi di Modena, il 16 e 17 marzo 2019.
Vorrei far notare che la locandina postata più sotto non l'ho progettata io. 
Eppure i papaveri hanno trovato il modo di manifestare il loro prepotente protagonismo.


In un campo di grano

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Succede che, se stai troppo nella tua casetta estrema, ti metti a fare un progetto e a crederci più di quanto faresti se ti lasciassi continuamente sbattere a destra e sinistra e a farti inondare le orecchie da rumori molesti.
Mentre ricamavo qualche spiga, circondata da papaveri, fiordalisi, campanule e margherite, mi sono sorpresa a sognare di comporre i ricami su oggetti e gli oggetti su pagine. Mi accordavo con Laura al telefono su come impaginare le pagine e mi facevo prendere dall'ansia per un stampa di prova.
Capii che mi mancava Laura e mi convinsi che anche per lei fosse lo stesso.
Del resto... Come potevano non mancarle le mie telefonate notturne domenicali?


Dunque eccomi con l'ansia della stampa di prova. 
Col dubbio di non arrivare a Fili senza Tempo pronta.
Ma c'è anche una certa nuova consapevolezza in quest'ansia e forse sto imparando ad organizzarmi meglio e ad avere le idee più chiare. 
Cioè... 
Dalla prossima volta, intendo.

Sono tornata, in questi giorni, dietro ai banchi di scuola. 
Ero là (in ultima fila, sdraiata di traverso sotto il banco, caso mai i profe fossero stati mossi dalla malaugurata idea di fare domande) ad ascoltare cose che mai avrei immaginato di avere l'interesse a seguire (la vita davvero si srotola su imperscrutabili vie) e che mai avrei lontanamente sognato di riuscire a capire... Beh! Almeno in qualche parte...
Il punto è che ad un certo punto la malaugurata idea ce l'hanno avuta e mi sono dovuta presentare. Quando ho pronunciato la parola ricamo, preparata con uno strategico Vengo da un ambito atipico, straordinari eventi sono seguiti:
- Non mi sono impappinata
- Ho udito solo qualche brusio
- Nessuno è scoppiato a ridere

Sì! Sì! Ho anche scroccato la cena!

Mi dovete dunque scusare se ho abbandonato per un po' il blog e se lo uso ora per scaricare l'ansia. Ma l'alternativa è che mi roda le unghie. 
Ho ancora qualche pezzo per l'allestimento da finire, eppure ho deciso che non potevo farvi aspettare oltre e che avrei dovuto far trapelare qualcosa. 
Mi pare quasi un tradimento.
Sono sempre arrivata al punto dopo aver raccontato anche troppo.
Questa volta le cose si sono evolute rapidamente, senza respiro e insomma eccomi qui.
Se tutto va bene, per la prossima settimana vi faccio un bel post.
Intanto vi lascio con le mie due creature: il grembiule di Conti&Molinari ricamato in treno e l'indossatrice senza testa. 
Vi assicuro che non ce l'ha, anche se sembra...




Alfabeti da ricamare- In un campo di grano

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Progettato per essere presentato a Fili Senza Tempo, questo piccolo album di disegni è arrivato giusto in tempo.
Certo si è fatto sospirare e con serena rassegnazione, ieri, ero pronta ad affrontare la sconfitta.
Invece l'imballo è rotolato a valle e me lo porterò a Novi (se non dimentico gli scatoloni, vista l'aria rarefatta che tira nella mia testa in questi giorni).
Che cos'è?
Un libricino di 34 pagine, copertina compresa.
Come dice il retro copertina...


... Contiene un alfabeto floreale completo, alto 11 cm, 13 soggetti decorativi (cuori e ghirlande), le spiegazioni essenziali per il ricamo dei disegni con i punti base del ricamo classico e un suggerimento cromatico. 
Insomma...
La solita roba!
Per me però è stato un esercizio interessante. 
La normale prosecuzione di Un alfabeto a fiori nell'esercizio del disegno e nel tentare vie nuove per la resa tridimensionale dei fiori.
I protagonisti questa volta sono il grano, i fiordalisi, i papaveri, le campanule e le margherite. 



Ringrazio in primo luogo Laura Arnaldi, l'artista della grafica, per le sue manifeste abilità e la insostituibile pazienza oserei dire materna con cui mi guida.
Ringrazio Tamara Catrina Fonseca per la cura con cui revisiona il testo inglese e la sua mamma Manuela prodiga di incoraggiamenti.
Ringrazio Gabriella Molinari di Conti&Molinari per il costante, prezioso e simpatico supporto.
Ringrazio Severino Graziano e i suoi collaboratori, per l'omaggio dei lini Graziano su cui il ricamo scorreva agile e DMC per la fornitura dei filati.



Presenterò l'album a Fili Senza Tempo di Novi di Modena il 16 e 17 marzo 2019.
Da lunedì fornirò ulteriori indicazioni per reperirlo anche on line.

Ancora grazie a tutti voi che leggete e che mi spronate con i vostri commenti incoraggianti qui e su Facebook,

Elisabetta


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