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Channel: Elisabetta ricami a mano
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Dal punto stuoia al couching per ricominciare

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Ricominciare a scrivere dopo tutti gli eventi libreschi e fiereschi degli ultimi mesi è complicato. Perché la testa non è sgombra e balza da un'idea all'altra e da un pensiero leggero ad uno più pressante e da un dolce ricordo passato al rude presente fitto di appuntamenti familiari, senza logica alcuna. 
Preparo i corsi, temporeggio con i lavori avviati, mi ci provo a tornare ai salutari ritmi pre-fiera, ma stento a decollare. 
Almeno tre volte ho iniziato questo post. 
Riprendere le fila dei fili lasciati in sospeso con questa vacuità è arduo.
E dovrei scrivere un post di ringraziamenti con puntualizzazioni, espressioni di gioia, imbarazzo, entusiasmo e preoccupazione per l'inaspettata diffusione di Un alfabeto a fiori.
Ma prima devo far rientrare le parole nella mia testa, perché rimbalzano da una parte all'altra e come ben potete notare non si bloccano puntuali.
Tento di ritornare, con la mente e con le mani, al punto in cui, stufa di imbrattare brandelli di stoffa coi fiori, mi ero auto condannata ai lavori forzati a telaio, costruendone una versione domestica di dubbia professionalità, ma che, nonostante qualche preoccupante traballìo, ancora si regge degnamente in piedi.


Una anima pia, ignorando i miei post, oppure proprio a causa di essi, mi regalò qualche settimana fa un fichissimo supporto con telaio e, se non fosse stato che lo trovai davvero fichissimo e che compresi subito l'urgenza di tenerselo stretto stretto, avrei dovuto rispedirlo al mittente, ostentando offesa per la scarsa stima nelle mie doti di falegnameria. Ma sarebbe disonesto da parte mia far finta di averne e insomma ringrazio eccome per la meraviglia!
Racconto solo l'inizio dell'avventura con il punto stuoia questa sera, per colpa di quelle parole che non escono e perché mi dispiacerebbe rovinare il diario di bordo. 
Avevo compilato, sull'onda dell'entusiasmo, uno scarno quanto superficiale carnet di viaggio: sarei salpata con il Bizantino della Scarpellini, approdata al Prenestino e concluso il breve tour con il Broccatello e un fantomatico Bokhara couching. Mi persi però ben presto nei meandri del couching e se fui strappata dalla bramosia di andare oltre e più a fondo fu solo perché già avevo acquistato con l'impegno il biglietto per altri viaggi. Ne esco con una vaga insoddisfazione, ma non escludo che il rituffarmici in questo racconto mi induca a tornare ad esplorare le misteriose lande non ancora violate dai miei campionari. 
Ma non svelo oltre. 
A breve con il Bizantino
Abbiate la pazienza di aspettare però il mio ritorno: vado via sul serio per un paio di giorni. 
A Ravenna. 
Scontato, non vi pare?!

Un bacio a tutte voi che avete la pazienza di leggermi. 
In fiera ho scoperto che non siete quelle tre o quattro che pensavo. 
Grazie e a presto,
Elisabetta


Les Broderies de Marie et Cie - Mook 5

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Non è un Magazine, non è un Book... E' un Mook.
Les Broderie de Marie & Cieè una di quelle riviste-libro che dimostrano cura, passione e amore. Dove nulla è lasciato al caso.


I ricami di Marie Suarez sono adorabili e se, cosa che non credo, non la conoscete, questo è il suo blog: http://suarezmarie.canalblog.com/
Lo so... Una meraviglia.
Difficile prova per l'autostima...
Sul Mook 5 un mio cuscino, ma devo assolutamente confessarvi che non l'avrei comprato per il mio lavoro quanto per i deliziosi soggetti natalizi di Marie.
Questo il mio, a punto pieno e palestrina con rose, in bianco e rosso.



Ravenna e l'Ars Bizantina. L'incontenibile molestia di Alfredo.

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Come spesso accade al secondo soggiorno, è venuto meno l'idilliaco entusiasmo provato otto anni fa, paralizzata estatica innanzi ai mosaici di Ravenna.
L'incontenibile irruenza di Alfredo, del tutto fuori controllo da ché ha iniziato la prima elementare, ha logorato nervi e soglia dell'attenzione di tutti (ahimè anche degli innocenti visitatori), impedendoci di predisporre l'animo a qualsivoglia forma di estasi che non fosse il vederlo seduto fermo, muto e con adorabili occhioni da cucciolo. 
Ma da quando viaggio in compagnia del ricamo nella mente, porto comunque a casa qualcosa e l'aver incastrato questa gita proprio nel bel mezzo di studio di stuoia e couching, mi ha concesso di affrontare le visite con uno scopo. Nonostante le molestie del molestatore, torno insomma soddisfatta alle mie incombenze settimanali.
Acquistai alla fiera di Bellaria di quest'anno il libro Il ricamo bizantino di Carla Scarpellini, dopo anni di rosicamento per averlo solo distrattamente sfogliato alla mia prima fiera di Parma senza farlo mio. Il Bizantino mi ha sempre affascinato per la somiglianza in stile coi ricami di Assisi e per quella luce tutta propria che emana dai ricami. Non mi ci ero mai avvicinata seriamente a causa di insoddisfacenti esperimenti con il punto stuoia, che sembra sempre sporco e affatto lucente mentre lo si lavora. Ne avevo intuito le potenzialità eseguendo il cartiglio ovale della S di Siena, ma le perplessità non si erano esaurite del tutto.
Apro una dolorosa parentesi: più ripenso alla S di Siena, più mi sembra di aver perso qualcosa in questi ultimi anni. La guardo ed è come se non l'avessi fatta io. La me che l'ha ricamata non è la stessa di adesso.


Nel libro Il ricamo bizantino l'autrice svela i riferimenti storici e culturali del ricamo, illustra la tecnica e offre una galleria di disegni. Quello che io ho appreso attraverso il suo libro e alcuni miei campionamenti è un filtro da autodidatta. Segnalo che chi volesse una scuola seria, respirando la giusta aria e senz'altro soddisfacendo anche vista e palato nella terra d'origine, il Centro Italiano Femminile (Comitato Comunale di Ravenna) organizza annualmente un full immersion della Scuola di ricamo Byzantina Ars.



Inutile dire che posando anche solo superficialmente lo sguardo sulle pareti e le volte di Chiese, Tombe e Battisteri è facile riconoscere tutti quei simboli che sono ampiamente rincorrenti nei disegni per ricami e che si rifanno alla tradizione religiosa. Tra i miei preferiti i pavoni alla fonte e le volute con riccioli (...) dei tralci di vite. Disegni rubati agli affreschi, ai mosaici e ai bassorilievi e in effetti ti viene voglia di fotografarli tutti per disegnare qualcosa di tuo. Poi però ti dici che non è più tempo e che forse bisogna andare oltre, ma noi italiani abbiamo questo dannato attaccamento alla tradizione...
Rifletti sui colori e scopri che quelli tradizionali segnalati con i numeri DMC dalla Scarpellini sono, guarda caso, molto, molto somiglianti a quelli usati nei mosaici. Ma non parlerei di colori oggi, perché grazie al Bizantino ho ragionato su alcuni aspetti dei colori tradizionali, a cui vorrei dedicare un post a parte.
Darei qualche cenno di tecnica, per dimostrarvi che finché non ti ci metti, non vedi.
Non parliamo di una lavorazione complessa.
Finiture a parte, ce la caviamo con un punto erba per il contorno e con il punto stuoia per il fondo. Riguardo al punto erba possiamo essere in dubbio se ricamarlo a due fili o soltanto con uno e io già vi dico che ho lavorato sempre a un filo perché i disegni progettati per il Bizantino sono molto dettagliati e minuti e richiedono di conseguenza che lo spessore del filato non ne guasti la finezza. Ecco. Forse l'unica vera difficoltà del punto erba è il cercare la perfezione di esecuzione per non perdere i dettagli. Starei molto attenta al riporto del disegno (ve la ricordate la faccenda della stoffa stirata bene bene e del dritto filo?!) e alla resa di punte e curve.
Riguardo al punto stuoia il primo vero dramma è la messa a telaio. Non ci sono scuse. Capito, Barbara?! Eh, eh...
Poi il tutto si traduce in un semplice tira il filo, appunta il filo. Mi hanno preso in giro dicendo che a dire così sembro il maestro Miyagi di Karate Kid...

Da "Il ricamo bizantino", Carla Scarpellini

La tradizione dice a due fili. Se vuoi farlo brillare di più e vuoi una finezza maggiore e ti vuoi tanto male puoi lavorarlo a un filo.
Tecnicamente è banale, ma le insidie sono in agguato. L'ovvia difficoltà è tirare punti serrati e tenere il dritto filo. Ci si arriva presto, comunque.
Il non detto o il non pensato sta nella tensione della posa del lungo filo e nella direzione di quel piccolo punto di fermatura ripetitivo.
Sulla tensione del filo posso dirvi che con le ragazze della scuola del lunedì mattina è venuto fuori che questo benedetto lancio va tirato bene e non va mollato fino all'esecuzione del primo puntino di fermatura.
Sui puntini di fermatura... Vi risparmio i commenti sulle mie prove. Vi dirò soltanto che la mia superbia preconcetta mi ha indotto a pensare per anni che un bel puntino piccolo piccolo e perpendicolare al lungo filo sarebbe stato meno vistoso e avrebbe fatto brillare di più la superficie. Così pensando, senza un brandello di autocritica, non mi sono mai accorta che TUTTE le schematizzazioni del punto stuoia propongono un puntino obliquo, che accompagna come una torsione il filo di posa.
Eh... Indovinate un po'... A fare così brilla di più.
Sull'eseguire prima o dopo il punto erba, la Scarpellini dice prima, il Manuale del Cucito e del Ricamo della Coats Cucirini dice dopo. Ci ho provato: mi sembra che si riescano a conservare meglio i dettagli del disegno se si fa prima il punto erba e poi lo stuoia.
Un'ultima considerazione tecnica sta nella posizione dei puntini di fermatura, relativamente al giro precedente. Nelle vecchie schematizzazioni spesso si vedono questi punti a defluire in linee oblique parallele, come in questa immagine presa dal web.


Bisogna essere molto bravi a tenere dritte le linee oblique e comunque non è caratteristica del Bizantino che si vedano questi canali lucenti delimitati da linee opache.
Sembra dunque che il miglior modo sia di fare un puntino a metà dello spazio precedente e quindi alternando le linee. Sempre allo stesso link, ecco la migliore schematizzazione che ho trovato. 
Ilaria apprezzerai tutto ciò...

Румынский шов

Adesso mi fermo perché vi ho annoiate abbastanza e soprattutto perché il distruttore sta per varcare la soglia di casa. A presto... Spero!


I colori del Bizantino e il dramma della teoria dei colori

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Non sapendo da che parte cominciare, ho deciso di lasciar correre i pensieri. 
Cercare di razionalizzare i colori è un gran casino e lentamente ne sto scoprendo i motivi. 
Vi annoierò molto su questa faccenda nell'anno a venire, perché è un chiodo fisso da tempo, tramutatosi in una pericolosa affascinante dipendenza. 
Dunque attenzione a non farvi coinvolgere troppo! Già sto plagiando alcune signore e, prima o poi, quando avrò un discorso organizzato da esprimere, vi renderò partecipi del nostro percorso di immersione nella dannata e celestiale materia colorata.
Per il momento lancerò, forse più a me stessa che a voi, alcuni quesiti che urgono risposta. Che anticipano in parte cose che ho capito e che lasciano in sospeso dubbi ancora da risolvere o da organizzare.
Come già vi avevo accennato, tra uno strattone ad Alfredo ed uno a Mario che si faceva influenzare e scorazzava senza ritegno nella Basilica di San Vitale, il mio sguardo si posava sui mosaici, conscio della brutale ignoranza interpretativa dei simboli allegorici, ma confortato dall'amabile familiarità delle tinte che dai mosaici brillano là con una particolarissima gentilezza e raffinatezza. Avevo ricamato il campione prima della visita e non fu strano riconoscere nei mosaici gli stessi colori, eppure emozionante. 
La primissima riflessione è legata dunque alla banale ripresa delle tinte dominanti nei ricami.
Sui colori DMC segnalati dalla Scarpellini, avevo realizzato tre campioni per testarne l'effetto sui non colori più diffusi dei lini: bianco, ecrù e grezzo chiaro.


Il più luminoso e attraente l'ultimo azzurro, che lei chiama "color pavone", che evoca uno degli animali che molto di frequente popolano le volte e ammiccano tra gli architravi.
L'effetto dello sfondo è piuttosto curioso, ma non riesco ad andare oltre al rilevare che alcuni colori appaiono più brillanti su uno degli sfondi. Il pavone, per esempio, sembra dare il meglio di se' sul fondo grezzo, ma a quanto pare, stando al mio parere e non a quello di altri. E questa componente soggettiva sballa e fa andare fuori di testa, ma ha un suo senso...

Questo gesto, cioè di appoggiare i campionari sulle foto della guida di Ravenna pro photo, mi ha fatto saltare in mente una cosa che feci a suo tempo e cioè il confronto con un ricamo di anni e anni or sono... A punto Assisi.


Prima o poi vi parlerò di questo lavoro. Tante volte vi raccontai che alle origini della mia attività di ricamo partii con il punto Assisi. Per anni accantonai il ricamo e quando ripartii, ripartii, guarda un po', me ne rammento solo proprio adesso mentre scrivo, con uno studio di colore sull'Assisi. Volevo proprio dargli una forma e chiamarlo Studio assisiano. Se avessi avuto la costanza di oggi e un blog... Lo avrei fatto. Ma allora, ad un certo punto del lavoro, cadevo nello sconforto. E infatti è incompiuto. Questo era il secondo campione, quello con i colori meno usati (e riveste un quaderno ad anelli degli Orsetti del Cuore che usavo a scuola...). I principali (nel primo campione) il noto azzurro polvere, il rosso nobile e il rosso ruggine. 
Impossibile non collegare questi colori alle tovaglie romagnole e a tutti i ricami tradizionali, specialmente di area umbra.

Pausa riflessiva.

A Villa Buri, da qualche anno, spendo tutti i miei piccoli risparmi allo stand di Calimala, che fa dell'ecoprint un'arte e che conquista davvero tutti tutti. In rete ho trovato soltanto il profilo Fb e provo a mettervi il link, ma non so se sia necessario o meno chiederle l'amicizia per accedervi:https://www.facebook.com/people/Calimala-Ecoprint/100004920165477
Le ho acquistato (per essere precisi a lei e a Silvia Corrain) diverse stoffe tinte e molte matassine. Tutte lì ad aspettare e a chiamare a gran voce che io le degni, nonostante ogni tanto passi ad accarezzarle. Insomma ebbi una di quelle rivelazioni che forse si possono riassumere con il detto Hai scoperto l'acqua calda, anche se ancora nessuno e nessun testo mi abbia spiattellato la conferma in faccia.
Per farla breve, accarezzando le mie matassine ebbi la certezza che i colori tradizionali si dovessero ricollegare a quelle poche qualità forse reperibili all'alba della tintura dei filati: l'azzurro con guado o indaco? Il giallo della reseda? Il ruggine dalla robbia?
Accesasi la motivazione, dalla robbia sono partita per questioni sentimentali, che mi evocano un erbario e una breve esperienza fallimentare, anche se non del tutto, di tintura naturale.



Vi lascio ora, ma torno a breve, ripartendo da questa stessa foto. Ciao ciao!

Noi come i mosaicisti?

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Riprendo come promesso da questa foto, ma mi urge specificare, anche se è abbastanza ovvio, che questo nonè un bizantino. E' un ricamo che ruba all'Ars bizantina l'idea del motivo in negativo racchiuso in una forma, continua il ladrocinio utilizzando proprio il punto stuoia per il ricamo del fondo, ma osa distorcere in un fiocchetto il palestrina che è più prenestino che bizantino e getta qua e là delle roselline che non sono né l'uno né l'altro. Avrei dovuto presentarlo alla fine dell'escursus bizantino/couching, ma, avendo aperto la parentesi sentimentale sul colore, è sbucato dal mucchio prima dei suoi logici predecessori.
E, visto che ormai ne siamo stati sedotti, ecco la versione azzurra della mitica mano di Cesarina...


Il campione con il tralcio d'uva è tratto dal libro Il ricamo bizantino della Scarpellini.
Ricamato con il DMC 3765, emette una luce unica e brillante. Il mio in ruggine, avendo usato un filato sfumato Calimala, riflette luci mutevoli, con una risultante più opaca. E se mi chiedeste, fossero amanti, quale preferirei, confesserei una relazione clandestina con entrambi, l'uno per le qualità riflessive, l'altro per la prestante esuberanza. 
Ahimè... Solo ricami mi circondano...
Per chi volesse risalire al disegno, ho scelto un alfabeto antico con spessori (One hundred thirty - Antique French Embroidery Alphabets, Shepard, pag.55e in simmetria ho costruito il cartiglio e aggiunto un paio di volute.

Ma torniamo a Ravenna e ai suoi mosaici.
Scacciati sotto il nevischio da ogni ristorante perché Non avete prenotato?!, finimmo una sera in un piccolo locale, ove cenammo in cinque attorno ad un minuscolo tavolino in vimini. Per contenere Alfredo e cercare di motivarlo alle visite dell'indomani, gli misi in mano gli opuscoli sottratti al Centro Informazioni e impiegai malamente il tempo della cena ristretta lamentando col marito l'assenza di un museo che illustrasse la fabbricazione dei mosaici (cosa che, pensavo, avrebbe stimolato maggiormente l'attenzione dei bambini). Lamentavo, con la brochure di tale museo tra le mani. A Ravenna il museo c'è e si chiama molto romanticamente T'AMO, ma senza apostrofo.
Quegli stessi bambini che dovevano entusiasmarsi al museo, esaurirono la memoria e le batterie del mio cellulare per fare le foto mosaicate dei mosaici, con una App che squadretta le foto. Non so cos'altro portarono a casa dalla visita, ma io rimasi folgorata.
Alcuni pannelli in fondo alla chiesa ospitante, mostravano le bozze pittoriche dei mosaici e alcune bacheche gli strumenti dei mosaicisti.
E venne una di quelle rivelazioni che ti fanno apprezzare le banalità che magari tutti conoscono ma che tu, in quel momento, sei in grado di cogliere.
Dalle bozze disegnate capii che i mosaicisti sono più simili a noi. 
I pittori i colori se li creano da pochi pigmenti. Noi non abbiamo cocci di vetro, ma fili. Siamo simili: quelli abbiamo e con quelli dobbiamo cavarcela.
Mi affiorò alle labbra la definizione di Arti Minori... Cercando in rete vedo che tale definizione (che è in sostanza una distinzione tra arte e artigianato) viene considerata superata e che le Arti proprie come pittura, scultura e architettura, ritenute anacronistiche. Eppure ho la percezione che in Italia tutto sia fermo. La presenza della materia tessile nelle scuole relegata alla tecnica industriale. La capacità argomentativa nei musei disarmante. E io mi sento improvvisata e carente di una formazione.
Tornando ai mosaicisti e all'esposizione del TAMO... La loro scatoletta dei cocci... Benché improbabile da infilarsi in una borsetta come le nostre scatolette...
Non vi risveglia sentimenti familiari? 



Un altro pannello mi fece riflettere...
A seconda di come i piccoli pezzi vengono appiccicati al muro, o i fili stesi sulla stoffa, la luce che arriva dal sole o dalle lampade viene riflessa, puntuale, o infranta in direzioni diverse e da quei bagliori ci giunge un'immagine...
Ma questa è un'altra storia ancora.


E' tutta una questine di luce

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Vi ho tradito un'altra volta. Non scrivo da un po' e di Ravenna già mi ricordo gran poco.
Sappiate comunque che vi ho tradito per una buona causa: sono stata impegnata in corsi a ripetizione ogni fine settimana da gennaio ad oggi e l'avventura non è ancora finita, con mio sommo piacere e grande riconoscenza nei confronti di tutte le partecipanti. Mai ho trascorso giorni più interessanti in compagnia di ricamatrici. Mai ho imparato tanto.
Esco poi fresca fresca da una vacanza extralusso che mi sono concessa: sono tornata a scuola per un'intera settimana, in un prestigioso laboratorio di ricamo. 
Ho assaporato tra quei telai troppa libertà e tornare alle incombenze domestiche è terribile. 
Ho scorazzato per Milano con la mente sgombra da impegni e di rado ho sfogliato il cellulare. Ricamavo per più di cinque ore al giorno senza ansia di scadenze e solo per imparare. 
Ho respirato un'aria diversa e conosciuto splendide persone. 
Ho capito, da allieva spietata, come migliorare la didattica ed evitare insopportabili perdite di tempo.
Mi sono giurata a me stessa di rifarlo almeno una volta l'anno.

Vi racconterò, ma prima devo riprendere le fila di Ravenna e del punto stuoia, per completare la riflessione sui colori e arrivare prima o poi al couching.

Partendo dai colori dei mosaici e dai colori tradizionali dei ricami bizantini o tradizionali antichi, avevo proposto un parallelo tra noi e i mosaicisti, oggi più che mai vivo, visto che sto lavorando con le perline e le paillette, che come le tessere dei mosaici devono incastonarsi armoniose. 
Abbiamo dunque a che fare con materia già colorata e a noi sta di trovare la giusta combinazione. 
O di inventare una interessante trasformazione.

E questa materia di partenza può giocarci brutti scherzi, perché la luce, nel suo lungo viaggio, rimbalza su quella stessa materia colorata e viene a stuzzicare i nostri sensi, complessi, imperfetti, incredibili.
E quello che ne risulta è che la stessa materia prenderà una sfumatura diversa a seconda di come è stata posata. Ad ogni punto un rimbalzo di luce, ad ogni direzione una percezione. 
E, a seconda del ricamo, punti perfetti faranno brillare la superficie, punti maldestri la faranno risultare cupa e spelacchiata.
Colori puri, mescolati o saturi selezioneranno risultanti di luce differenti e colpiranno i nostri sensi suscitando emozioni.



Lo stuoia gioca con la luce in una maniera piuttosto esclusiva e conflittuale. Quando lo ricamo lo vedo imperfetto. Se lo osservo più da lontano o a distanza di tempo, lo vedo brillare con gioconda prepotenza. Se poi il colore è giusto, il ricamo prende vita.
Mi è piaciuto questo giallo, DMC 680.


Ho rubato il disegno al libretto 990 Art Noveau Monograms (Dover Pictorial Archive) e rielaborato il cartiglio. Ho contornato il disegno con un palestrina grassoccio a tre fili, alla maniera del Ricamo Prenestino. Ogni anno ammiro in fiera ad Abilmente i ricami di Stella Chiapparelli dell'Associazione Il ricamo prenestinoe un anno feci un corso da lei per imparare. Tra Bizantino e Prenestino corrono diverse differenze tecniche, ma l'effetto risultante è simile. E l'intervento del punto palestrina aggiunge un rilievo estremamente interessante!



Ho commesso invece un grosso errore con un bel disegno della Scarpellini.
Non avrei dovuto aggiungere quelle inizialine rosse.
Sempre per quella questione della luce.
Non brillano allo stesso modo.
Sono come due caratteri simili che cozzano.


E potete ben dirlo...
Siamo tutti stufi della lettera E.


Coincidenze e incontri

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Ho resistito a lungo, agli esordi del blog, ad iscrivermi a Facebook.
L'ho fatto poi per comunicare con le mie sorelle e i nostri post allora si riducevano alla condivisione di esilaranti video su bambini maldestri, articoli sulle pessime madri per il gusto di taggarci e trailer di remake di film vecchi e nostalgici. Una ristretta cerchia di amici e conoscenti a cui chiedere se da quelle parti piove.
A giorni alterni mi chiedevo se chiudere il blog o promuoverlo. 
In un giorno pari decisi di collegare il blog a Fb e a dare un cognome alla vaga elisabettaricami scritto tutto attaccato e minuscoloSulla mia incapacità di trovare nomi originali dovremmo scrivere un post. Anita è molto brava invece, ma allora aveva solo tre anni e il massimo che fu capace di produrre fu battezzare il suo peluche Ciccia Matta.
Da quello strano giorno la mia ristretta cerchia di amici e parenti è scomparsa dalla mia bacheca, sommersa da pezze ricamate in ogni parte del mondo. Fb è diventato comunicazione e Google Translator il mio tasto destro. 
Divertente e straordinario. 
Scorro quotidianamente un cumulo variegato di post e silenziosamente rido, piango e impreco a causa di essi. 
A me piacciono i post che mi fanno ridere e quelli pieni di poesia. 
Ma la poesia vera e propria io non la capisco. E' un linguaggio alieno che neanche Google Translator riesce a farmi intendere. Dunque impropriamente forse chiamo poesia quella capace di farti rallentare per un attimo il dito sulla rotella del mouse, inclinare la testa come per scrutarla o leggerla meglio, avvicinarti al monitor per cercare un contatto e paralizzarti per pochi secondi eterni in quello stato di illuminazione in cui sembra di essere venuti finalmente a capo di tutto o, al contrario, di sentirsi perduti nel mistero. Non solo parole e frasi, ma anche immagini, e video.
Poi, certo, spalo anche una gran montagna di spazzatura.
Condividi tu che condivido io, mi imbatto un giorno nei lavori di Patrizia Silingardi di Homebazipat e sento la mia rotella del mouse rallentare. Scruto un profilo ibrido che mi incuriosisce. 
Ora ricama, ora dipinge. 
La pioggia di foglioline verdi leggere mi evoca fresche passeggiate in riva ad un lago e il nome mi si fissa nella memoria. E io sono una di quelle che numeri e nomi proprio non li tengo (e ho anche il coraggio di sgridare Anita per lo stesso deficit genetico...).
In uno dei miei corsi chiedo se il portaoggetti dipinto è di Patrizia e mi confermano che Sì, lo è! La conosci? No, l'ho vista su Fb.
Scopro che ad Abilmente ottobre c'è, dirimpettaia della mitica Laura Tremolada. Mi fiondo da quelle parti per salutare Laura e prendere in giro invidiosa le sue imprese titaniche di allestimento e per conoscere Patrizia. Per insondabili associazioni mentali che si giustificherebbero solo scavando in terapia la mia infanzia, mi attendo un donnone mascolino piuttosto attempato.
Patrizia non offenderti, ti prego! 
A me hanno detto che mi immaginavano come una vecchietta esile con la gobba, lo scialletto e le perle...
Te la scopro, ridendo tra me e me di me, decisamente femminile, giovanile e... Scattante. 
Entusiastica e frizzante. 
Senza saperlo eravamo grandi amiche su Fb e ci conoscevamo già alla grande. Probabilmente eravamo già anche state al cinema e a ballare insieme.
In un fiume di parole, con i minuti contati per l'imminente apertura della fiera, diventiamo grandi amiche anche nella realtà. Tanto che lei mi regala una bella striscia da tavola dipinta nello struggente addio della domenica sera. 
Adesso che ci penso, io neanche le avevo offerto un caffè.

Con questo regalo si è innescata una relazione magica, che vorrei raccontarvi piano piano attraverso i prossimi post.
Tutto nacque dalla voglia di ricamare sopra alla pioggia di foglioline, con un misto di reverente imbarazzo e incandescente opportunità di correre su vie già tracciate...
E quando ti ci butti senza pensare, a volte percorri strade consuete e ovvie. Questo primo approccio superficiale mi portò a ricamare piccoli fiorellini alle intersezioni di alcuni rami. Un po' per sperimentare questa variante del punto vapore, un po' con quella soddisfazione, che ogni tanto ci vuole, di sapere che me la sarei cavata in poco tempo.
Avendoci messo davvero poco tempo e avendo provato un gran piacere all'illusione di ricamare in riva a quel lago, mandai un imperioso Wapp alla Patrizia dicendole che sarei stata a Modena di lì a breve e che mi facesse trovare pronto uno gnocco fritto.
Vi racconterò nel prossimo post di come riuscii a scroccare cena e caffè. 
Ci avete ragione... Almeno questa volta avrei dovuto offrirlo io.

L'ispirazione venne a suon di gnocco fritto

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La terrina conteneva un quantitativo così esagerato di gnocchi, che dovetti sacrificarmi a lungo a mandar giù bocconi, prima di riuscire a scorgere Patrizia all'altro capo del tavolo.
E prima che ci venissero consegnate le torri di tigelle, che ci avrebbero nuovamente diviso (anche se per poco...), credo parlandoci una sopra l'altra e litigandoci gli ultimi pezzi, avevamo già sancito il patto di metterci a lavorare un po' insieme, con il folle obiettivo del niente, disinteressato, e la sfida a capire cosa ne sarebbe saltato fuori, giusto per divertirci un po' e senz'altro per imparare qualcosa.
Siccome noi, che abbiamo incompiuti, lavori in corso e progetti giurassici nella borsetta, abbiamo bisogno di avere una scadenza a cui condannarci per riuscire a portare a termine qualcosa, la Patrizia mi saltò fuori con un invito a castello, dopo aver consultato l'impeccabile staff organizzativo di Fili Senza Tempo, capitanato dalla designer Tania Santarelli, che non vedo l'ora di conoscere dal vivo per porgere cavallereschi ringraziamenti, di cuore.
Per farla breve, entro un mese, infine digeriti gli gnocchi fritti, avremmo dovuto produrre qualche pezzo, lasciando correre idee e iniziative, augurandoci vivamente che ne uscisse fuori qualcosa di buono, vista l'illustre location.
Mi ero fatta portare un po' delle sue mitiche sciarpe dipinte su cui mi ero lustrata gli occhi on-line, con la scusa di fare qualche regalo tra sorelle, mamma e suocera e sottrarne un pezzo per me.
Da quel pezzo in poi fu un continuo ricamare tra leggiadre foglioline.
Siccome devo ancora uscire dalla fase nera, per loro scelsi candide lanette e delicati fiori colorati, per me un grigio scuro decorato con discrete foglie di bambù che fanno capolino qua e là con sobria eleganza. Il verde opacizzato dalla lana scura e la sua mutevole sfumatura mi indussero a rispolverare la mia preziosa scatola disordinata in cui conservo i filati tinti a mano e i filati House of Embroidery. L'occhio cadde su un verde variegato giallo Calimala (tinto con estratti vegetali) che mi sembrò studiato appositamente per ricamare sopra alla mia nuova preziosa sciarpa e, nonostante lo avessi comprato per tutt'altro uso, srotolai le spire della matassina con un giocondo spirito che si faceva desiderare da un po'.
Lasciai decidere all'inconscio e quello mi materializzò l'immagine di una lettera a punto croce immersa tra le foglie. Ridete pure, voi che mi conoscete...
Scarabocchiai una griglia Custom by Me con una iniziale presa dal blog di Ramzi (www.patternmakercharts) e mi lasciai sedurre dal bagliore di qualche cristallino...


Ahivoi!
Io e Patrizia, ammiccando tra noi furbescamente complici, decidemmo, masticando l'ultima tigella ripiena, di essere crudeli e di non svelarvi troppo prima di Fili Senza Tempo.
Un po' certo per invitarvi a venirci a trovare, un po' anche per percepire nel nostro viaggio la vostra presenza e i vostri pensieri. Per sentire la vostra immedesimazione e la vostra voce.
Che cosa avreste fatto?
Lavorando sui tessuti di Patrizia ho scoperto tante cose e raccontandovi oltre nei prossimi post cercherò di spiegarmi.
Qui anticipo la miglior cosa...
In condizioni di ristrettezza nascono le idee.
Lo avevo già sperimentato con le Conchiglierie. Avevo raccolto al mare una manciata di conchiglie e costruito con esse dei campionari di sfumature. Mi ero poi imposta di usare quelle sfumature per alcuni lavori. Il risultato fu che non potei pescare dalla scatola delle matassine i miei soliti colori e fui costretta ad azzardare abbinamenti mai sperimentati. Imparai a familiarizzare con i colori come mai prima.
Ugualmente, il tessuto dipinto mi impone delle scelte. Non è la pagina di lino candido su cui far volteggiare qualsivoglia sfumatura. E' un supporto con un suo carattere che evoca scenari selezionati e ti mette in discussione.
E' un esercizio.
Un esercizio molto interessante.
Questo lo avevo scelto io e, sentendomi audace, decisi di mettermi in condizioni più difficili.
Patrizia! Non è che mi dipingeresti una ghirlanda su cui ricamare un'iniziale o una scritta? Falla tu come ti piace. Io sarò di nuovo a Modena tra un paio di settimane... 
Hai visto che belle pizze servivano nel posto degli gnocchi fritti?!

Riuscirà il nostro eroe a scroccare un'altra cena?







Pittura, pizze, pensieri e punti

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Successe che invitammo anche l'ignara Gabriella di Conti e Molinari a mangiare la pizza e finì che fu lei a saldare il conto.
Però non bevvi il caffè.
Optai per un sorbetto.

Sappiate che io e la Gabriella stiamo tramando nell'ombra.
Ma devo tenermi cucita la bocca e per il momento questo è tutto ciò che posso rivelarvi.

Tornerò dunque alla pioggia di tenere foglie della Patrizia, che, sparse sul tavolo affinché io scegliessi un pezzo, trasformarono le pareti del locale in alti fusti, i lampadari in pozze di cielo tra le fronde, i tavoli in tronchi elegantemente distorti e le sedie in postazioni di fortuna tra muschi e grappoli di funghi. Inutile dire che l'intenso aroma della salsa al tartufo e l'odore dei porcini sparsi sulla mia mozzarella, contribuirono a rendere la suggestione molto realistica. Sospettai strane sostanze tra i vapori fumanti che emergevano dai piatti e che facevano ondeggiare i contorni dei volti delle mie commensali. La conversazione nonsense e strappalacrime che ne seguì, confermò del tutto l'ipotesi.

Ragazze... DOBBIAMO ASSOLUTAMENTE TORNARCI!

Ma non divaghiamo.
Adagiata tra i cuscini di muschio e intenta a sorbirmi il sorbetto al soffio di un tiepido vento profumato d'agrumi, svanito, forse no, il vapore allucinogeno delle pizze, mi decisi a scegliere due pezze, ornate con ghirlande di foglie. In una avrei ricamato una bella P pienotta per Patrizia e nell'altra una Gabriella a punto erba per la Gabriella.
Vedevo le foglioline vibrare nelle scomposte ghirlande e seppi per certo che anche questa volta avrei spolverato la scatola degli sfumati, scegliendo una palette fantasy che evocasse minuscole casette degli gnomi e piccoli colibrì ronzanti e fuggevoli che si fanno appena appena percepire con la coda dell'occhio.


Grazie a Patrizia e ai suoi lavori ho messo in discussione il mio rigido e perentorio schema di simmetria.
Mi ci è voluto un po' e non è stato facile.
Cercate di capirmi... Patrizia è un'artista nel con-senso comune del termine. Corrisponde al profilo.
Io sono, al contrario, uno sterile prodotto scientifico che per ironia della sorte si è trovato un giorno a ricamare, anziché fare le cose che avrebbe dovuto fare.
Una che un giorno decise di provare a lavorare come un'artista (senza la pretesa di esserlo) e si concesse il lusso di pensare al ricamo come un lavoro. Così il ricamo lo divenne per davvero.
C'era il sole quel giorno, e indossavo una maglia blu.
Però, diciamocelo: quando io disegno, disegno in simmetria. Piego il foglio a metà, disegno una metà, ricalco l'altra metà. Eh già. Di un'artista non sono neanche la metà. Ho una certa qual praticità, che mi consente di mettere tutte nella possibilità di provarci, ma manca quell'istintiva improvvisazione, la fiducia in una mano esperta che si muove assecondando un progetto ben delineato nella mente. Il potere di esprimere su carta una visione.
Patrizia prende il pennello e va.
Nel suo cartiglio non c'è una perfetta simmetria. Ci sono armoniche distorsioni.
Mannaggia! Che rabbia mi facevano all'inizio!
Placide e pazienti le sue asimmetrie mi hanno accompagnato nel corso del ricamo e lentamente si è smussata la mia imperiosa necessità che tutte le foglie a destra e a sinistra cadessero in dritto filo e ho imparato ad amarle come le rughe di un volto familiare.


Ora giorni di duro lavoro ora ci attendono.
Le allegre scorribande modenesi sono terminate.
Privata di caffè e sorbetti, segregata nella mia grotta come il guru della montagna e costretta alla sola compagnia della mia debole mente, iniziai a pensare.
E come è noto a tutte, certe cose fanno male alla salute.

Sfondi che ti sussurrano idee

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Rimasta sola al mio magro destino, pronta ad essere sbeffeggiata per le mie scarse doti culinarie, tornai nella mia grotta, alle mie scatolette di fili e...
Di tonno. 

Durante il viaggio, mentre la buia campagna costellata di lucine scorreva sotto i miei occhi e i camion pericolosamente corteggiavano le mie fiancate, pensavo ad un dibattito tra ricamo e pittura. 
Di quelli placidi, in cui nessuno vuole avere la meglio sull'altro e le parti si scherniscono a vicenda, sorridendo. Sprofondati in morbide poltrone di velluto e sorseggiando whisky con ghiaccio. 
Confrontavano materie e materiali, linguaggi, gestualità e tempi.
I pigmenti cari all'uno, da mescolare a piacimento, e i filati tinti a disposizione dell'altro. I pennelli e le mani per stendere il colore, contro i sottili sterili aghi. La leggerezza della pennellata, in contrapposizione al caldo rilievo del filato posato. L'istintiva pennellata e il punto chirurgico. L'immediatezza non priva di accuratezza, contro il meditabondo rito ripetitivo.
Entrambi rammaricati per essere considerate due entità astratte che non possono comunicare in ambienti illustri, si auspicavano un cambiamento, che portasse il ricamo ad un livello artistico riconosciuto, come in fondo altrove accade, e che portasse all'arte il suo linguaggio. Che l'arte entrasse nelle stanze dei fili e che nella tradizione rinascesse l'entusiasmo.
Io, che non me ne intendo di queste cose, ben presto faticai a seguirli e mi chiesi se tutto ciò avesse un senso.

Non avevo ancora riposto i filati House of Embroidery della P pienotta di Patrizia, perché l'ordine non è una mia virtù. Mentre li riarrotolavo nelle loro strane cartine, pensai che sarebbe stato interessante sfruttare la stessa gamma, scombinando le carte. Mentre per la P avevo scritto la lettera col 25 grigiastro e ricamato i fiorellini coll'arancio sfumato, avrei potuto, a parità di verde, lasciare che le mutevoli sfumature dell'arancio danzassero tra le lettere e i grigiastri fiorellini scintillassero tridimensionali.


Ovviamente, font Chopin script.

Soltanto cinque giorni a Fili senza tempo... Sarò nella saletta Biancospino con Patrizia Silingardi.
Ma ho ancora una paio di cose da raccontarvi, quindi a presto! Prestissimo!



Waiting for... I tortellini da passeggio

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E' tempo di chiudere i bagagli.
O per lo meno di mettersi infine a farli.

Parliamo di Fili Senza Tempo, al Castello di Levizzano.


La T è per Tania, scrupolosa organizzatrice. 
Sappiamo che il ricamo parla un suo segreto linguaggio. 
Invia messaggi d'affetto e riconoscenza. Di tempo dedicato. 
Non tutti sono in grado di capire, ma chi quotidianamente ci lavora non ha bisogno di un interprete.



Ci muoviamo in un mondo frettoloso e superficiale... 
Ho davvero apprezzato la direzione di Fili Senza Tempo, per l'attenzione con cui tutto è stato pensato e rimuginato, affinché ciascun partecipante non avesse da rammaricarsi. L'ho apprezzato ancor di più quando ho percepito che i partecipanti stessi avevano interiorizzato il suo stesso stato mentale, preoccupandosi di non prevaricare gli altri e non dar adito a concorrenze. Ho assaporato il valore di una direzione attenta e competente. 
Io ci sarò la domenica, perché sabato sarò da qualche parte in quella zona per un corso sulle scritte. Ma venerdì sera, quando infine sarò riuscita a caricare la macchina e a serrarla a colpi di martello, andrò al castello a lasciar giù due cosette: un po' di miei ricami e... 
Mia mamma. 
Farà le mie veci per i visitatori del sabato. 
Sospetto in realtà che non la troverete mai nella postazione a me dedicata. Si è già iscritta a cinque o sei corsi e ha riempito il portafoglio. Credo che l'unico stand che non degnerà di uno sguardo, sarà il mio. Ma potrete confidare della vulcanica presenza di Patrizia Silingardi, che con gran cuore decise un giorno di stringersi un po' per farmi spazio e ormai sarà costretta di accettarne le conseguenze. 
Ci troverete al piano primo, nella sala Biancospino, tra le essenze adatte a preparar tisane. 
Pare che il biancospino risulti particolarmente utile per il benessere del cuore e del sistema nervoso. Perdonate la troppa presunzione... Ma mi auguro che le tenere foglioline di Patrizia, intrecciate a qualche mio punto, offrano a cuore e nervi dei visitatori un istante di curioso benessere.


Se desiderate il mio libretto "Un alfabeto a fiori", lo troverete dalla Gabriella di Conti e Molinari, nel gustoso piano dedicato alle erbe da arrosti. Dovrete inseguire l'aroma della sala Salvia. Per rendere il tutto più appetitoso, ci troverete anche una piccola altra cosa, a cui dedicherò il prossimo post... Ve l'avevo detto, no? Che tramavamo nell'ombra?

Sul profilo Fb dell'evento di Fili Senza Tempo, Tania postò, qualche tempo fa, un'immagine che subito attrasse la mia attenzione, a causa del digiuno prolungato...


Tortellini da passeggio...
Obiettivo cardine di tutta l'avventura sarà...
Trovare qualcuno a cui scroccarli!



Les broderie de Marie et Cie. - Mook 6

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E' sempre un grande onore essere ospitata sulla rivista di Maria Suarez, edita da Les Editions De Saxe.
In questo numero un cuore primaverile dedicato alla scrittura, uno snello astuccio e un pensiero di William Wordsworth...


Ma il mio occhio punta su quel bel lavoro di copertina e altri delicatissimi disegni contenuti nella rivista!



Inspirations Magazine issue 98

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Inspirations #98

Inspirations Magazine che mi regala alcune delle sue prestigiose pagine è un evento memorabile. 
Avevo progettato e ricamato per l'occasione un piccolo zig-zag album per fotografie e il servizio offre disegno e spiegazioni.


Ma c'è di più.
C'è un Contributor profile ricco di fotografie, che mi ha emozionato. 
Io avevo scritto e scritto, pensando che per ragioni di spazio qualcosa avrebbero tagliato.
E invece c'è tutto. Spero non sia troppo!
E sono contenta perché ho citato luoghi e persone speciali, che hanno contribuito alla mia formazione di ricamo e che mi hanno dato il coraggio e l'opportunità di mettermi in gioco. 
Un sentito ringraziamento alla Redazione di Inspirations Magazine e a tutti loro!


Galeotta fu la cornice

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Avevo scritto un paio di post su alcuni fogli di recupero, mentre ero in attesa di una visita di routine in ospedale (niente di preoccupante, tranquille! Una di quelle fastidiose cose che ogni tanto ci tocca fare). 
L'infermiera che s-ciabattava efficiente e rapida sull'asettico corridoio aveva rallentato la sua corsa per apostrofarmi un Oh! Come scrive piccolo piccolo! 
N'somma. Mica tanto. 
Forse la cosa strana era che scrivessi con una penna vera, su di un foglio di carta reale. 
E, in effetti, a distanza di due mesi, ancora questi post non li ho copiati e dati in pasto.
Ve li propongo ora rimpiattati e solo appena riscaldati, ignorando il senno di poi. 
Così magari procedo a scrivere qualche altro post per raccontarvi di questo lungo e difficile periodo, in cui ho imparato molto, ricamato poco, ho ricominciato a rodermi le unghie (... e il fegato) e desiderato tanto tornare alla inquieta quiete della mia grotta, con un unico categorico imperativo in testa: LASCIATEMI RICAMARE!

Sedia in fòrmica azzurra dell'Ospedale di Borgo Trento,
L'infermiera s-ciabattante mi osserva sospettosa
9 aprile 2018

Concluse le festose scorribande pittoriche e le gozzoviglianti gite nel modenese, torno ai tempi di Ravenna e di quel punto stuoia che forse avete ormai dimenticato.
Aveva acceso un certo entusiasmo e, cercando in rete e nei libri di ricamo, avevo scoperto un paio di cosette interessanti.

Mi ero innanzitutto stupita della sua assenza in rete, anche se probabilmente deve essere un problema di parole chiave. 
Se cerco punto stuoia mi balzano sullo schermo pochi rimandi all'Ars Bizantina e a quella Prenestina. Quasi del tutto assenti le animazioni del punto o i tutorial. 
Strano, non trovate?
Se la cava un po' meglio il Romanian Stitch, che sembra essere una versione ristretta del punto stuoia, ma che ha poco da spartire in resa finale.
Mi rimane il dubbio che sia un problema di traduzione e, appunto, di parole chiave. Vi pare possibile che lo ricamiamo solo noi?
Dilaga invece il Couching in tutte le sue varianti, anche se quella del punto stuoia è contemplata solo marginalmente. E di fatto le due tecniche non vanno confuse, anche se il concetto è simile.
Ho assaporato il couching nel ricamo in oro, dove emerge in tutto il suo splendore. Ma nel Couching oro i punti di fermatura sono perpendicolari alla direzione principale, mentre nello stuoia assecondano le spire del filo e insomma l'oro è un filato che va posato e sarebbe probabilmente sbagliato fare paralleli riduttivi.
Inutile dire che, rimuginandoci sopra e contemplando le meraviglie di Jane Nicholas..., le dita hanno cominciato a fremere, la razionalità a vacillare, la prudenza ad annebbiarsi.

E, come sempre in questi casi, ho avviato un progetto più grande di me.

Ma insomma... Quel bagliore che circonda i petali del grande fiore rosso e si insinua tra gli stami... Non chiama esigente a gran voce uno splendente contorno oro?!



Ahimé! Chi, ignara di tutto, poteva immaginare le odiose insidie delle punte? 
Ora che so, avrei dovuto ricamare, per cominciare, un bel palloncino tondo tondo.
Ma andiamo con calma. Ho qualcuno su cui scaricare tutta la responsabilità: la Laura, quella mitica de La cor:nice.
Per il salotto, che ormai è più rosso dell'inferno, avevo acquistato (adottato?) una sua cornicetta rossa, perché tanto qualcosa ci avrei fatto.
So per certo che William Morris disegnò quel fiorellone appositamente per la cornice rossa di Laura. Non sono sicura che sapesse che ci volevo fare un orologio. E, vi dirò, ancora non so se riuscirò a farlo.
Mi lanciai in un punto pittura morbido morbido, facile e rilassante, eseguito in una settimana piuttosto tranquilla, con musica di sottofondo. Nulla faceva presagire la tragedia. L'entusiasmo alle stelle. Posavo il rocchetto dell'oro scintillante sul tavolo e gli sorridevo con materno senso, pregustandone il tocco.


Sull'oro non mi metto a nudo raccontandovi le figuracce da principiante. Vi basti sapere che alla fine acquistai un oro-imitazione-giapponese.


Fine della storia. Non vi mostro la foto del retro. Mi sono iscritta ad un corso di ricamo in oro serio. 
E per un po' questo sta fermo così com'è. Vi farò sapere.
Per darvi la certezza che prima o poi le cose le porto a termine e che davvero vi racconterò come andrà a finire questa storia, ecco l'incompiuto portato a nuova vita sempre per colpa di Laura...
Da Morris ad Hazel Blomkamp.
Il disegno è di Hazel ed è tratto dal libro Crewel Intentions
Ve ne parlai due anni fa qui. Avevo in mente di farci costruire intorno un vassoio, con un paio di maniglie rubate ad un antico cassettone. 
Feci recapitare tutto a Laura, senza remore.
Ecco il magico risultato...


Morale della favola:
Il mattino ha l'oro in bocca,
non è tutto oro quello che luccica,
ho partorito un'idea brillante che vi svelerò nel prossimo post:
non tutto il male viene per nuocere.




Pensa brillante e scrivi

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Panchina del Centro Commerciale
Sotto lo sguardo preoccupato del fruttivendolo
9 aprile 2018

Nel corso delle tristi storie accediamo a facoltà superiori. 
La non troppo, in fondo, terribile storia con l'oro, portò i miei livelli di pigrizia e praticità alle stelle.
Su due poco dignitosi presupposti nacque una simpatica idea:
1- Perché fare tutta questa fatica a cercare un filato oro?
2- Perché affrontare una cospicua spesa per comprare un filato oro?
I due perché ovviamente ci sono, ma il momento di frustrazione fu propizio e portò a questa ulteriore domanda:
3- Perché non utilizzare i finti ori e provare qualcosa di più semplice?
La vera complicazione del filato oro (vero) è che va posato.
Non ci si può infilare una cruna e ricamare.
Immaginate di ricamare con il fil di ferro (non è proprio così, ma insomma bisogna limitare i passaggi attraverso la stoffa).
Il ricamo in oro ha i suoi metodi e i suoi tempi e la sua secolare tradizione.
Ma... Se io prendo un filato dorato (tipo Diamant DMC), progettato per essere ricamato ad ago e lo tratto come un filato oro, appuntandolo con un sottile filo di poliestere...? 
Lo provai per la prima volta sulla mia divisa di Abilmente, ottobre dello scorso anno. 
Non so se qualcuno ci fece caso...



Magia brillante!


Esco sul dritto con il mio filo oro all'inizio della linea, dopo averlo fermato (tanto è previsto che lo si possa fare!), lo appunto con il poliestere e ogni tanto tiro l'oro per assecondare bene le curve del disegno. Quando trovo una punta entro e riesco sulla stoffa come mi pare.
Risultato:
- Riesco a far brillare piccole scritte
- Evito i classici crostoni da filato metallico
- Lavoro con facilità (più ancora che con punto indietro o punto erba)
- Rendo le curve più naturali
- Non cado in depressione

Progettai questo pannello per un corso di una giornata, pensato per raccontare i miei decennali errori, che mi hanno portato a migliorare la resa e la leggibilità, non facile, delle scritte ricamate.
Quando poi mi trovai tra le mani il campionario, scoprii che ben si adattava ad uno di quei progetti lasciati da tempo in sospeso.
Ho almeno una decina di libri di cartonaggio destinati al tessile. Tutti bellissimi. Tutti spaventosi. L'idea della colla che ti aggredisce e che scivola insidiosa dalle dite sulla stoffa e sui capelli e che lentamente, come il topo in trappola, ti lega indissolubilmente al tavolo, contorta, mentre invochi aiuto ma non c'è nessuno, mi ha sempre bloccata. 
Anche perché tre indelebili macchie di colla su uno dei più bei lavoretti che io abbia mai fatto mi ha segnato per sempre. 
Non vi ho mai postato la foto delle macchie. 
So che è disonesto, ma mi avrebbe fatto soffrire troppo.
Comunque... 
Ti succede un giorno che dalla lontana Taiwan si innesca una simpatica conversazione su messenger e che ti scopro che sto chattando con l'autrice di alcuni libri di cartonaggio (tra cui il protagonista di questo post, Mes cartonnage decoratifs di Sophie Liu) . Li acquisto al suon di un rapido click e trovo il più accessibile dei tutorial sul tema, che usa come esempio costruttivo una scatola delle dimensioni adatte. Scaccio la sindrome da topo in trappola con l'entusiasmo e mi ci butto, diventando per qualche giorno l'incubo di Sophie.
Grazie Sophie!



Macchie? Certo che sì.
Ma so come riuscirò ad evitarle in futuro!
E per la prima volta... Non ho fatto la fine del topo.




Non mollare mai il pittura!

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Ancor prima del gran fiore rosso e delle mie avventure con la colla tra i capelli, avevo ripreso in mano l'ago sottile sottile con cui ricamare a punto pittura. Per il resto, ricamato a due fili, oppure con il 25, dicono che io usi tronchi. E ci hanno ragione.
Era da parecchio che non ricamavo a pittura, o raso che sia (e se c'è una differenza ancora non l'ho capita, ma per i miei fini è irrilevante - scanso equivoci, per i puristi, io ho adottato la tecnica di Trish Burr).
Ho scoperto una cosa importante.
Se mollo un punto pieno per un po', quando ci torno non mi sorprendo ad imprecare di aver perso la mano. 
Anzi! La paura delle conseguenze dello scarso esercizio destano i miei sensi e rifocillano la mia attenzione, con una resa spesso migliore degli ultimi punti, scoccati a noia. 
So bene che c'è ancora molto da migliorare, ma insomma non vedo arretrare il traguardo raggiunto.
Il punto pittura mi scompensa. E' più facile realizzare un buon lavoro a punto pittura, che un buon lavoro a punto pieno. Il gioco dei colori e l'intreccio dei fili mascherano piccole inesattezze e un occhio poco allenato troverà assai gradevoli molti lavori a punto pittura anche se imperfetti (se mai si potrà parlare di perfezione in quest'ambito). Il punto pieno invece è impietoso e un ottimo lavoro, che presenti  qualche imperfezione, si trasforma irreparabilmente in un discreto lavoro e vedrete, in una persona con animo gentile, un incresparsi delle narici e un serrarsi delle labbra molto eloquenti. La persona meno gentile vi dimostrerà quanto la sa lunga dichiarando che di strada ne avete ancora da fare. In realtà credo che il punto pieno richieda una gran dose di esercizio, ma che, dopo una certa esperienza, sia come l'esibizione dei campioni olimpici: per quanto possano essersi allenati, tutto si gioca in quei cinque minuti, in un concentrato di attenzione, stato d'animo, fortuna. Noi abbiamo il vantaggio che possiamo disfare tutto, ma spesso la frustrazione è così alta che il secondo risultato finisce per essere peggiore.
Però io volevo parlare del pittura.
Dicevo che la tolleranza del pittura è maggiore. Tutti ci si possono buttare e, nonostante, inspiegabilmente, sia antipatico a parecchi, io consiglio di provarci almeno una volta, per sfatare il mito della sua difficoltà. Riscuoterà grande approvazione!
Ho scoperto però che la conservazione dei traguardi raggiunti in termini di finezza della lavorazione, capacità di fondere le tinte e posa dei fili adatta a far brillare le superfici, richiede un costante allenamento... Purtroppo.
Oppure semplicemente non ho raggiunto traguardi consolidati. Vi farò sapere.
Nell'eseguire questo particolare ricamo, dopo aver battuto la fiacca per mesi, mi accorsi di quanto poco le mani andassero per conto proprio e di quanto fossi critica e infelice di quello che stavo facendo. Nel prossimo post mostrerò la prova successiva, in cui mi sentii più a mio agio, soltanto perché tornavano familiari i movimenti e soprattutto l'occhio ritrovava la sua strada. 
L'avevo progettato come campionario per il corso sul punto pittura, ma quest'estate dovrò cercare un soggetto nuovo e più adatto allo scopo. 
Provocatoriamente feci riprodurre al corso i petali di questa Hepatica, copiandoli dalla foto. Nei post dedicati al pittura avevo già accennato a come avessi trovato più interessante, e per certi versi più facile, copiare da una foto, anziché da un disegno acquerellato o dipinto. Appoggiarsi ad una foto ci aiuta a infondere tridimensionalità al disegno nella scelta dei chiaro-scuri e ci impedisce, allo stesso tempo, di riprodurlo fedelmente, a causa della sua difficoltà: siamo dunque costretti a semplificare, ma in modo naturale (rispettando la sequenza dei colori). Credo invece che copiare i punti di altre ricamatrici possa risultare più difficile e fuorviante.
Evito di soffermarmi sulla puerile licenza artistica che mi sono concessa nel disegnare le foglie a fiocco e torno all'esperienza della colla tra i capelli.
Con il pittura sono ancora in fase di campionario. scelgo il soggetto, ricamo il soggetto. Que serà, serà.
Ma per portarlo ai corsi, ci dovevo fare qualcosa.


Le nottate a suon di Messenger con Sophie mi avevano acceso la smania da cartonaggio e mi ero ripromessa che non sarei passata ad un modello successivo fino a quando non fossi riuscita a cancellare tutte le macchie dalla scatola tutorial. E così, lentamente, sto imparando ad organizzarmi. Direi che il segreto sta proprio nella compartimentazione delle zone colla.
Spazio sul tavolo, pazienza e raziocinio. 



Eppure la cerniera ancora trema.
Mi sa che dovrò farne un'altra ancora.


Blandi tentativi di imbrigliare la primavera

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Ogni anno la stessa effimera storia.
Svuotata dai noiosi e grigi mesi invernali, allo sbocciare dei primi germogli, mi germoglia l'entusiasmo di fare.
So bene che ormai la primavera è alle spalle... 
Questo è proprio il punto.
Nel giro di una settimana lo spettacolo incalza frettoloso e quella mirabile serie di colori ti strappa dalla tua buia solitudine domestica e balzi ebbra all'aperto e tutto ti conquista. 
Progetti e prometti a te stessa un nuovo inizio e quasi quasi per una settimana tutto funziona e quasi quasi ci credi che un nuovo inizio sia iniziato.
Poi qualcosa turba l'entusiasmo. Qualche acquazzone familiare, gelidi impegni trascinati dall'inverno, tiepida routine.
E in un battito di ciglia i colorati fiorellini si fanno brunastri e fiacchi e le foglie prendono il sopravvento. 
E mi nasce dentro un'inquietudine che si ripete muta ogni anno. 
L'ho sempre vissuta, ma non mi sono mai fermata ad osservarla.
Per anni mi sono sforzata, inconsapevolmente, di registrare l'evento, peggiorando la mia inquietudine, forse nel vano tentativo di afferrarlo per non farlo sfuggire.
Andando con la memoria ai tempi della scuola, ricordo esattamente il momento in cui riuscii a dare un nome all'arbusto ritratto in foto e nel ricamo. 
Chaenomeles japonica
Il cotogno giapponese.
Allora avevo deciso, allo scoccare della primavera, che avrei fatto un erbario per imparare a riconoscere le piante. 
Per me è primavera quando si accende il roveto ardente.
Ancora vivo anche il ricordo di me, che passeggio a Novara con l'idea di registrare ogni anno la data delle fioriture. E, nello stesso punto, davanti alla siepe del gelsomino, che spingo la carrozzina di Anita, ricordando l'anno precedente, finalmente conscia che non avrei rispettato la promessa.
E, da allora, dodici anni.
Ogni anno la stessa effimera storia.
Ve la ricordate questa?


Eccolo lì!
Il destino ha voluto che nel giardino di casa, qui dove sto ora, abiti un enorme, selvaggio ed intricato cotogno, del tutto simile a quello della gioventù. Nonostante un mostruoso rosmarino tenti di soffocarlo, lui cresce bello e alto e ogni anno mi frega.
Concede al gelsomino d'inverno della zia Maria di preannunciarlo, ma poi annienta tutti.
Eccomi nel 2014.



E poi l'anno scorso.


Mi immaginate intenta ad alimentare il mio sketchbook in quotidiana bucolica ispirazione, con una matita tra i capelli? Sbagliato. 
Un bel sogno.
Una settimana, triste ed effimera, all'anno.

E il mio Chaenomels del 2018 riposa a telaio da mesi, ormai. 
Prudentemente lo fotografai col protagonista in fiore.


Ci sarebbe anche uno stumpwork in lavorazione, ma chissà che fine ha fatto. 
Sono in fondo contenta di averlo perso. 
Riordinando, in un qualche freddo momento, potrebbe farmi tornare la primavera.



Idee... Con i fiocchi, e in rosa

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Rose e fiocchi a punto palestrina... Spero non vi stiano stufando e uscendo dagli occhi!
Se vi dovesse affiorare l'idea che ricamo sempre le stesse cose, mi sa che avete ragione...
Scusatemi, considerando che sto attraversando una fase di esercizio, per imparare a combinare gli elementi.
Devo assolutamente  far girare le linee a palestrina in tutte le direzioni, ossessivamente, perché il punto mi smuove qualcosa dentro e bisogna che ne vada a fondo. Lascerò che mi perseguiti.
Ma... In fondo parliamo di uno dei più bei punti lineari della storia del ricamo italiano e quindi mi sarà dolce il naufragar in questo viaggio. 
Mi auguro che non suoni presuntuoso: palestrinando, ad un certo punto, pungolata da certe stimolanti conversazioni, balenò l'idea che potesse essere utile mettere a disposizione i disegni a chi volesse, con me, dedicarsi a questi esercizi di linea.


Tra una pizza e uno gnocco fritto a Modena, telefonate ridanciane e messaggi con la Gabriella di Conti & Molinari, vulcanica inimitabile coach motivazionale, l'idea, confusa, germogliò, a suon di Sarebbe bello... e Si potrebbe... A poco a poco si materializzarono due schede a corredo degli asciugamani Articolo Crespo di Conti & Molinari, un po' per gioco, un po' per assaporare la collaborazione e metterci alla prova. Inutile dire che ci affidammo a Laura Arnaldi per la regia grafica.



Gli asciugamani, in coppia (grande e piccolo) sono in spugna e confezionati con un inserto in crespo di lino. 
Lino ecrù con spugna color grezzo e viceversa.
In uno ho ricamato il cuore con le mie solite roselline. 


Nell'altro ne ho aumentato le dimensioni con il cast-on stitch, per riuscire a ricamare le foglie, più ampie, a punto mosca in due tonalità di verde.


Per informazioni...
www.contimolinari.it
contiemolinari@gmail.com

L'ignobile, seppur nobile, fine degli stracci ricamati

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Improvvisammo una gita sul Garda al ponte del primo maggio. Il bungalow era stato sapientemente costruito su una collinetta di San Felice del Benaco, al preciso scopo di permettere allo sguardo di abbracciare una quieta distesa d'acqua e di indurci a far riposare e raffreddare i cellulari, badare alle sciocchezze dei bambini, (a mollo stoici nella gelida piscina) e a concederci un giramento di testa con un aperitivo alcolico di troppo.
Ormai è mia abitudine, prima di ogni partenza, consultare l'oracolo: la mamma dell'amica giramondo di Anita, camperista di prim'ordine e fonte inesauribile di angoli di mondo meritevoli.
Aaaah, siiii! Andate anche a Toscolano Maderno, nella Valle delle Cartiere! E non fermatevi solo al Museo! Proseguite con il sentiero nella valle, fino alla Stretta dei Covoli. Là il torrente ha scavato la roccia e una passerella inchiodata alle pareti permetterà soltanto a voi e al torrente il passaggio nella Stretta. Vedi tu, poi, se lanciare giù il marito o uno dei tre.


Se questo fosse un blog di viaggi, avrei parecchio da raccontarvi e mi dilungherei nella cura con cui il Museo di Padova si è adoperato per valorizzare e proteggere i resti archeologici che testimoniano la lunga tradizione cartiera nella valle sin dal '300.
Passeggiando tra i ruderi protetti dalle intemperie con sobrie coperture, mentre Anita filmava gli angoli più oscuri per il film dell'orrore che prima o poi girerà, con un recondito moto di rabbia sconsolata, mi trovai a pensare a quanto potrebbe essere fatto per Pompei.
Ma questo è un blog di ricamo e non vi parlerei di Toscolano, se proprio lì, in ben due occasioni, il ricamo non si fosse manifestato ora con prepotenza, ora di rimando (da un po' di tempo a questa parte, come avrete ben notato, ho sviluppato una certa abilità a distorcere la realtà per piegarla ai miei voleri...).
La sfortuna volle che in quel periodo i maestri cartai volontari non fossero disponibili per le visite guidate; la fortuna volle che uno di essi passasse di lì per caso e si facesse impietosire dalla presenza dei bambini, finendo per dedicarci dieci minuti intensi in cui raccontare come, nell'antichità, a Toscolano la carta si producesse a partire dagli stracci e in cui produrre, con sapiente destrezza, un foglio di carta filigranato.




Mentre i bambini si bevevano ogni sua parola e ogni suo ancestrale gesto, io mi attardavo nella sala con le vasche di macerazione degli stracci, per fotografare un cesto da cui sbucava un cencio orlato con una sfilaturina a rammendo e siglato con un paio di cifre a punto pieno, figurandomi l'ignobile fine di certi antichi logori corredi intessuti di vita, seppur nobilitati dal conseguente processo di trasformazione. E mi figurai i versetti di Dante impressi su una fu camicetta a intaglio, uscita dal cassettone della dote, e un trattato di medicina su un completo letto. E si mescolava il nostalgico rammarico di memorie di vita perdute, con un ossequioso rispetto per una raffinata economia di recupero che rinnovava tali memorie.


Rimando alla prossima settimana il secondo incontro con il ricamo, che mi indusse a macinare quei chilometri di punto erba fuggevolmente fotografato in testa al post. Così vi dirò da dove ho preso il raffinatissimo disegno. Vi svelerò anche chi dei quattro ho buttato giù...

Senza ammenda e con più vaghezza

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Eravamo giunti a Toscolano con il battello, scrutando il cielo in cerca di indizi su quanta acqua si sarebbe riversata su di noi, che avevamo solo un paio di ombrelli e tutta l'impresa da compiere a piedi. 
I tre inconsapevoli erano impegnati a dare nomignoli improbabili alla nidiata di anatroccoli stanata nel porto e mi auguravo che nel tragitto incontrassero famigliole di gatti, cani, volpi e quant'altro ci concedesse che si sviassero da frigne di camminate troppo faticose.
In realtà, fuori allenamento come eravamo, non ricordavo che la natura è il loro elemento e che macinano chilometri senza fiatare, mentre la città li trasforma in irritanti pupattoli capricciosi.
E il tragitto dal porto al Museo della Carta era decisamente alla loro portata (e soprattutto a quella del marito...).


Il primo edificio, che comprende l'ingresso, è dedicato alla storia più antica e riguardo alla produzione della carta avevo già fatto cenno nel precedente post.
Il percorso si conclude con una mostra intitolata Senza ammenda e con più vaghezza.
La mia mente era distratta dal formulare il titolo che avrei dato al post sull'ignobile fine degli stracci ricamati e la soglia dell'attenzione era ormai in calo, come tristemente succede in tutti i musei, al superamento delle prime poche stanze, se ci abbandonano a noi stessi senza una guida.
Dunque mi bloccai di colpo soltanto quando scorsi, tra le pagine di quegli antichi libroni e libbriccini, alcune iniziali di incipit, dall'aria fortemente familiare.



E cominciai ad agitarmi, pensando che avrei dovuto chiedere allo shop se avessero una collezione di iniziali e disegni...
Ma dentro di me qualcosa mi diceva che... Io già li avevo.
Mi girai a guardare con ritrovato interesse la locandina della mostra.


Alessandro Paganini (1517-1538), tipografo, editore, disegnatore...
Ma io... Forse già ti conosco... 
No, dai! Impossibile!
Fotografai il fotografabile, scoprii che allo shop avevano solo qualche segnalibro con un paio di lettere, mangiammo al bar un panino (scampando quell'unica mezzora di pioggia!) e rimandai l'indagine al mio ritorno a casa, perché avevamo da arrivare alla Stretta dei Covoli.
Al mio ritorno impiegai pochi minuti per verificare la mia teoria, che nel viaggio si era articolata, ricomponendo le tessere del puzzle.
Il Paganini era davvero l'editore di una delle primissime risorse, che ai tempi dell'avvio della rete, avevo scaricato con intensa gioia, per la qualità eccezionale dei disegni contenuti nell'opera e per le affascinanti immagini di antiche ricamatrici impegnate nel riporto del disegno. Già avevo usato una di queste illustrazioni sulla presentazione del corso base e ipotizzato, con uno dei disegni, un lavoro a trapunto fiorentino. Avevo ingrandito molto l'immagine, ma poi avevo accantonato l'idea.
Più volte, però, nel tempo, mi ci ero rifatta gli occhi sopra.
Ecco uno dei molti link per scaricarlo, anche in pdf: Il Burato, Libro de recami, P. Alex. Paganini.
E la mente, con un divertente gioco di illusioni, ha raccolto questo vissuto, combinando gli eventi come manifestazione di una fatale percorso guidato dal destino, trasformandolo in motivazione.
Senza pensarci troppo, in barba alle scadenze, ho ingrandito il primo disegno del libro secondo (15 cm di larghezza) e l'ho riportato speculare su una striscia di lino.


Finalmente riprendo gli esperimenti sul punto stuoia, iniziati a Ravenna e temporaneamente abbandonati, con le mani, mai col cuore. 
Li riprendo a Toscolano Maderno e so già quale sarà la mia prossima tappa.
Ma questa è un'altra storia.


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